Politica, amicizie ed estorsioni. Sono i punti principali dei due verbali con i racconti dell'ex sindaco di Castel di Iudica. Dichiarazioni spontanee sull'inchiesta Iblis, in cui è imputato, rese ai magistrati dal carcere di Novara dov'è al 41bis. Dai Lombardo ai Fagone, tra qualche silenzio e alcune contraddizioni
Mafia, Rosario Di Dio parla ma non si pente «Ammetto le mie colpe ma non sono un boss»
«Io se vorrei collaborare, lo vorrei senza soldi. Ma ritengo che non ho nulla che vi possa aiutare». A chiedere di fare dichiarazioni spontanee sull’inchiesta Iblis è Rosario Di Dio. L’ex sindaco di Castel di Iudica, condannato in primo grado a 20 anni per estorsione e associazione mafiosa, è considerato dai magistrati l’organizzatore delle famiglie mafiose nel Calatino. A Novara, dove è rinchiuso da anni al carcere duro, dice: «Ammetto le mie responsabilità, ho sbagliato, ma non ritengo di aver mai ricoperto il ruolo di vertice». L’autoaccusa è in un verbale del 2 dicembre 2014. Il primo degli incontri tra il presunto boss e i magistrati etnei, a cui ne segue un altro qualche mese dopo. In quest’ultimo, Di Dio avrebbe approfondito i dettagli della sua conoscenza con Angelo e Raffaele Lombardo. L’ex governatore veniva tirato in ballo nel 2009 in un’intercettazione ambientale. Durante uno sfogo nei locali del suo distributore Agip sulla Catania-Gela, Di Dio accusava il governatore autonomista «di essersi mangiato otto sigarette» nel corso di un presunto incontro avuto con lui, allora sorvegliato speciale. Ma i particolari dei nuovi racconti sono ancora secretati.
Il primo verbale è stato invece depositato nel processo d’appello dove Di Dio è imputato. Come MeridioNews è in grado di raccontare, Di Dio – nonostante la volontà di non pentirsi – avrebbe promesso ai magistrati di cambiare vita, magari lontano dalla Sicilia, «dopo aver pagato il mio debito con la giustizia». L’imputato intanto si assume la responsabilità dell’estorsione ad Angelo Brunetti, titolare della Sicilsaldo, azienda che si è occupata dei lavori per la metanizzazione nel Comune di Palagonia e non solo. «Avendo i soldi glieli ritornerei, per rimborsargli il danno», ammette Di Dio ai magistrati. Uno dei pochi passaggi in cui i racconti del presunto boss risultano netti.
Tra gli argomenti sui quali decide di non rispondere c’è la vicenda Eurospin – la cui espansione in Sicilia è macchiata dai presunti rapporti con Cosa nostra -, ma sopratutto i rapporti con la politica. Dalla conoscenza dei fratelli Lombardo – poi approfondita nel successivo verbale – a quella con i due ex sindaci di Palagonia Salvino Fagone e il figlio Fausto. Quest’ultimo coimputato nel processo Iblis e condannato in primo grado a 12 anni per concorso esterno alla mafia. «Non abbiamo mai discusso di appalti e opere pubbliche», racconta Di Dio riguardo a Salvino Fagone. «E con il figlio? Sempre un rapporto uguale o discutevate anche di altre cose?», chiedono i magistrati. «Su questo mi avvalgo della facoltà di non rispondere», replica.
Dalle conoscenze politiche si passa a quelli che Di Dio definisce «rapporti di amicizia e basta». Come quello con l’ormai defunto Vincenzo Basilotta, l’imprenditore di Castel di Iudica conosciuto come il re del movimento terra, coinvolto con le sue aziende nei lavori dei principali centri commerciali della provincia di Catania e condannato in primo grado per concorso esterno alla mafia. Gli affari con quest’ultimo, secondo gli investigatori, avrebbero fatto gola anche al boss Vincenzo Aiello che «non sapevo facesse parte di Cosa nostra, lo conoscevo come cliente del distributore, ma neanche fisicamente».
Tra i nomi che vengono spulciati c’è anche Angelo Santapaola, l’ex reggente della famiglia mafiosa catanese ucciso nel 2007 da alcuni affiliati. La conoscenza tra i due risalirebbe al periodo delle corse di cavalli a Palagonia. A lui Di Dio si sarebbe rivolto per tirare fuori il figlio da un’accusa di estorsione «ma non saprei dire se poi lo aiutò», sostiene. Nonostante in una conversazione intercettata nel 2007 si vantasse dell’intervento dell’allora reggente catanese. Non è l’unico caso in cui il presunto boss sembra inciampare sui suoi ricordi. «Aldo Ercolano l’ho visto solo in videoconferenza», ricorda. Ma il nome del mandante dell’omicidio del giornalista Pippo Fava era già stato accostato a quello di Dio in una sentenza del 2001, in cui i giudici scrivono di rapporti privilegiati tra i due.
«Conosce un sacco di persone famose, ma è sfortunato, perché non sono tutte brave persone». L’invito a cambiare vita, prima ancora dei magistrati etnei, era arrivato a Di Dio sia dal padre che da un insospettabile consigliere: Liddu Conti. Anziano padrino della mafia a Ramacca citato nei verbali del pentito Antonino Calderone e ormai defilatosi da anni. «Mi ha sempre detto di andare a lavorare e stare lontano da tutta questa gentaglia. La verità è».