Processo Scuto, condanna a otto anni «Ricorso? Ingiustizia da combattere» 

Pena rideterminata con una condanna a otto anni per associazione mafiosa e assoluzione per l’espansione imprenditoriale in provincia di Palermo. Si conclude con questa formula il nuovo processo di secondo grado a Sebastiano Scuto, l’imprenditore originario di San Giovanni La Punta accusato dai magistrati etnei di aver costruito la propria fortuna a braccetto con il clan mafioso dei Laudani. L’ex re dei supermercati a marchio Aligrup ha assistito alla lettura del dispositivo insieme alla moglie Rita Spina e al figlio Salvatore e agli avvocati Guido Ziccone e Giovanni Grasso.

L’imprenditore a margine dell’udienza ha voluto commentare l’esito del processo: «Io la mafia l’ho sempre combattuta – spiega – mi aspettavano una sentenza sicuramente più leggera. All’eventuale ricorso penseranno i miei avvocati perché l’ingiustizia si deve necessariamente combattere. I beni sono sicuramente importanti ma lo è ancora di più definire che io mafioso non sono stato come ha ribadito la Cassazione dicendo che la mia non è un’azienda mafiosa».

La nuova sentenza, arrivata dopo il rinvio della Cassazione e una lunga camera di consiglio, ha riguardato anche l’enorme patrimonio. La corte presieduta da Dorotea Quartararo (a latere Francesca Pulvirenti e Antongiulio Maggiore) ha disposto il dissequestrato di tutti i beni e le società, mantenuta invece la confisca delle quote di Aligrup fino alla concorrenza di 15 milioni di euro. Non accolta la richiesta dei difensori che volevano il riconoscimento della partecipazione fino al 1998. Una strategia precisa che,  come spiegato durante le repliche dall’avvocatto Grasso, avrebbe consentito il riconoscimento della prescrizione del reato grazie alla ex legge Cirielli del 2005.

Il collegio ha stabilito l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e l’interdizione dall’amministrazione legale durante l’esecuzione della pena. Quest’ultimo passaggio rende comunque impossibile a Scuto la gestione delle quote societarie a lui intestate. 

La vicenda giudiziaria di Scuto ha radici lontane che affondano nel cosiddetto secondo caso Catania. Nel 2012 viene condannato in primo grado a quattro anni e otto mesi, nel primo processo d’appello invece la pena sale a dodici anni grazie al riconoscimento dell’espansione territoriale in provincia di Palermo. Per il procuratore generale Gaetano Siscaro sarebbe avvenuta in comune accordo sia con Giuseppe Grigoli, condannato per essere il prestanome nei supermercati Despar in Sicilia occidentale del boss Matteo Messina Denaro, che con Vincenzo Milazzo, socio di Scuto nella società K&K

Un capitolo collegato e ancora più complesso è quello che riguarda l’impero imprenditoriale creato da Scuto. Una scalata al vertice partita da una piccola bottega di salumi a San Giovanni La Punta per poi trasformarsi in un colosso che nel 2000 è valutato attorno ai mille miliardi di lire, con 1.600 dipendenti e un indotto che ne impiega quattromila. Recentemente, come raccontato da MeridioNewsil tribunale penale federale svizzero ha deciso di mantenere la confisca di un conto corrente aperto da Scuto nel 1997 e intestato al figlio Salvatore. Un canale dove, secondo i giudici elvetici, sarebbero confluiti i soldi dell’attività del padre per un ammontare di oltre 700mila franchi svizzeri


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