Catania a zero punti (cioè a punteggio pieno) Ma non dimentichiamoci i fichi di Cartagine

Ho sempre avuto la convinzione che Catone il Censore fosse un vecchio trombone bacucco, un moralista da quattro sesterzi incapace di rendersi conto dei tempi che stavano cambiando. In altre parole, una persona che mi sarei annoiato parecchio a frequentare. Eppure, ora che ci penso meglio, devo riconoscere che aveva delle belle pensate. Per esempio, quella faccenda dei fichi: una volta se li fece arrivare freschi freschi da Cartagine e se li portò dietro a una seduta del Senato. E li mostrò ai nobili Romani ivi riuniti, per far vedere che lo storico nemico di Roma era sempre lì, oltre un braccio di mare facilissimo da attraversare – come appunto provavano quei fichi ancora freschi –, a minacciare l’Urbe di guerre e distruzioni. Per cui, ogni volta che Catone andava in Senato, non si dimenticava mai di quei fichi. E, sia che fosse appena intervenuto sui problemi della sanità del proprio tempo, sia che all’ordine del giorno ci fossero i costumi troppo licenziosi che stavano arrivando dalla Grecia, concludeva ogni suo discorso con la frase che l’avrebbe consegnato alla storia: ceterum censeo Carthaginem esse delendam, ossia «a parte questo, ritengo che Cartagine debba essere distrutta». Così, tanto per non scordarselo.

Tutto questo perché non sembri incongruo il ripetere, a commento della partita tra Catania e Ischia, che Pulvirenti ancora se ne deve andare; il ricordare che c’ė sempre lui, defilato quanto si vuole, ma pur sempre annidato dietro l’attuale dirigenza; che non ha ancora dato segni di voler veramente vendere la società; e che con lui, ci dispiace tanto, non vogliamo proprio avere più nulla a che fare. Ceterum censeo Pulvirentem esse pellendum (a parte questo, penso che Pulvirenti debba essere cacciato). E, detto ciò, possiamo anche parlar d’altro.

Oggi pomeriggio c’erano allo stadio circa undicimila persone. Non così poche, certamente. E ne conosco tante che ne sono rimaste fuori assai malvolentieri. E non certo per il fatto in sé considerato che quest’anno si giochi in Lega Pro, che la caratura tecnica dei giocatori di questa categoria sia inadeguata ai loro palati da intenditori, che un conto è sfidare avversari come Inter o Juventus e altra cosa, con tutto il rispetto, è giocare con l’Ischia. Non è questo il punto: dato che, per questi esuli del tifo, un gol del Catania, a qualunque avversario e in qualunque serie segnato, è comunque una festa, un delirante fermento di meraviglia, una madeleine capace di riaccendere il tempo in cui, bambini, sapevamo d’istinto cosa significasse sentirsi felici. Il motivo è un altro, e lo sappiamo tutti: ceterum censeo Pulvirentem esse pellendum.

Di ragioni per esser felici, la partita di oggi ce ne ha date tante. Il gol di Calderini segnato proprio all’inizio, nato da una stupidata della difesa avversaria. Il momento di paura dopo le due reti dell’Ischia, che in pochi minuti ha ribaltato il risultato. Il pareggio su punizione realizzato da Russotto (segniamoci questo nome: per quel che fa con la palla, non è un giocatore da serie C); il vantaggio, alla fine del primo tempo, segnato da Pelagatti ma nato di nuovo da una punizione di Russotto. Il gol del 4 a 2 realizzato da Calil, ma frutto di una sgroppata del giovane catanese Di Grazia appena entrato dalla panchina. E soprattutto lo slancio di tutti questi ragazzi che, in una settimana, hanno azzerato i nove punti di penalizzazione inflittaci dalla giustizia sportiva. Bravi, bravissimi, da applausi.

E questo è tutto quel che mi viene da dire su Catania-Ischia 4-2.

Ceterum censeo Pulvirentem esse pellendum.


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