Formazione professionale, in 5 anni 3.500 licenziati Sistema collante della disoccupazione tra padri e figli

Gaia ha 40 anni, occhi verdi che guardano il mare. Se le chiedi cosa desidera di più – amore, salute, divertimento – risponde: il mio lavoro. Era nel Cefop, un ente di formazione, con lei almeno altri 800 oggi tutti disoccupati. Motivo: cessazione attività e trasferimento d’azienda mai concretizzato. L’offerta di acquisto: diecimila euro, non di più. Il Tribunale fallimentare approva, la Regione blocca, il Tar sblocca, ma tutto è fermo.

È solo un esempio dello sfacelo del settore. Dal 2011 sono circa tremila 500 i licenziati, un guaio grande due volte tanto la chiusura della Fiat di Termini Imerese. Sullo sfondo le lotte tra i vertici della burocrazia, nessuna soluzione effettiva e adesso lo scontro tra la Regione e il ministero dell’Istruzione: pronto a commissariare la formazione «per inadeguatezza del sistema». Concentrarsi sull’ultima polemica non basta a comprendere la natura del problema.

«È imploso il sistema della formazione nel suo complesso», ha dichiarato l’assessore al Lavoro Bruno Caruso in un’intervista. Almeno lui, da tecnico, ha il coraggio di ammetterlo. Tutto comincia con la legge regionale numero 24 del 1976: l’azione formativa «è diretta a realizzare un servizio pubblico», si prevede la figura dei formatori ed il ruolo degli enti gestori, soggetti privati senza scopo di lucro. La programmazione è affidata alla Regione che dovrebbe tirar fuori entro ogni mese di novembre il progetto per l’anno successivo. Ovviamente non accade e sempre si insegue il calendario nel tentativo di salvare il salvabile. Quest’anno va peggio, non è ancora pronto il Piano per l’offerta formativa.

In vista, altri cinquemila licenziamenti. Il vero progetto non è dichiarato e non è selettivo, riformare nel modo più drastico: chiusura degli enti per asfissia di progetti e finanziamenti, licenziamenti di massa senza che la Regione si sporchi le mani. Responsabilità inafferrabili perché confuse in una ridda di norme e cavilli. I lavoratori della formazione del resto sono formalmente dipendenti dei singoli enti gestori. E l’assessora Mariella Lo Bello in aula all’Ars ci ha tenuto a precisare che «l’amministrazione regionale ha rapporti con gli enti, non con i singoli lavoratori che quindi non hanno alcun legame con l’assessorato». Il Fondo di Garanzia regionale e la legge sulla mobilità dei dipendenti non vengono applicati. E comunque il Fondo non ha fondi. Il tutto si è tradotto spesso in un abbocco di promesse politiche che da anni tiene legati all’amo circa ottomila persone. Adesso è un fastidio per la stessa politica, incapace di trovare una soluzione a un’accoppiata difficile: pochi soldi ed eccesso di personale.

Un primo tentativo di riforma con il governo di Raffaele Lombardo, utilizzo dei fondi europei. Però l’Europa finanzia soltanto le attività progettuali e non i costi di gestione. La Regione che dovrebbe cofinanziare fa spallucce, gli enti non reggono l’urto e cominciano a vacillare. Ne cadranno molti. È poi il momento del presidente Rosario Crocetta. Tra denunce, carte alla procura e rotazione di dipendenti, il sistema va in blocco. Nulla cambia nella modalità di finanziamento, nulla nei contenuti dei progetti formativi. Aumentano i licenziamenti.

Il fronte sindacale scende in piazza ma sottoscrive con la Regione l’accordo del 5 agosto 2014. Accettano un documento dove le attività e le garanzie sono declinate al futuro ed intanto si stabilisce: diminuzione dell’importo orario del finanziamento; soppressione dell’indennità giornaliera agli utenti; modifica della mobilità del personale, con un nuovo sistema di chiamata a discrezione degli enti; salvaguardia dei livelli occupazionali ma con una casistica di enti esclusi dal finanziamento senza prevedere un meccanismo esplicito di affidamento dei relativi corsi e finanziamenti agli altri enti. Il risultato è ovvio: corsi non attivati, studenti non formati, dipendenti licenziati, fondi europei prima o poi da restituire. Di progetti concreti nessuna traccia. È il trionfo del virtuale.

Eppure, c’è un’urgente necessità sociale ed economica di un sistema che renda effettivo servizio agli utenti nel creare professionalità fruibili sul mercato del lavoro. Così com’è la formazione professionale si è ridotta a funzione di collante della disoccupazione tra padri e figli, incastrati in un meccanismo patologico, sempre indecisi se cambiare, lottare o subire. È tutto e soltanto un mare di carte che si è stanchi di guardare.


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