Dopo i tre punti contro la Ternana la salvezza per il Catania è ormai vicina. Ma non bisogna ora fare l'errore di tornare a sentirsi troppo belli per la serie B. Di buono c'è che, adesso, la squadra in campo corre. L'importante è non smettere un attimo di farlo, senza riempirsi la bocca con inutili proclami
Il folle volo dei rossazzuri e la pena di Ulisse È la quinta vittoria di fila, ma non dite quella parola
È primavera, questo è ormai assodato. Nonostante la grandine che, ancora ieri pomeriggio, punteggiava di bianco non poche strade della città. Nonostante il vento che soffiava ieri sera sulle nostre incaute cervici (cervici di sprovveduti ottimisti, che ci fidiamo ancora delle stagioni e non manchiamo mai di credere alla promessa di un raggio di sole). È primavera nonostante quelle sciarpe e quei giubbotti che si chiudevano intorno a noi, mentre, sotto, il cuore ci si scaldava al gol di Maniero, all’assist del genio di Calaiò, alla corsa inarrestabile e vincente di Castro, che ha chiuso la partita contro la Ternana. È primavera e alla quota salvezza mancano, ormai, solo tre punti. Che speriamo di fare prima possibile, per potere poi goderci lo spettacolo, aspettando quel che verrà. Sapendo che nulla abbiamo a pretendere e che, perciò, qualunque cosa venga sarà gradita come un regalo inaspettato.
Perché sì, è primavera, ma in un certo modo è anche Natale. Che quest’anno è arrivato tardi, giacché c’è toccato aspettare fino a marzo perché il buon vecchio omonimo Babbo facesse un salto dalle nostre parti, si caricasse sulla sua slitta il buon Ventrone, conducendolo con sé come già fatto con Leto, Monzon e compagnia cantante. E lasciandoci in regalo, dopo qualche mese di tribolazioni, quest’inatteso filo di perle, queste cinque vittorie consecutive che non conoscevamo, addirittura, dai tempi dell’ultima e trionfale serie B.
È primavera e il cuore si scalda; ma l’ingegno consiglia ancora di andarci piano e di tenere a freno la lingua. E a me, che faccio fatica a districarmi tra le formule alchemiche di cui è fatto il gioco del calcio; che senza alcun brivido registro che ieri s’è vinto schierando il 4-3-1-2, contrapposto all’altrui 5-3-2; a me che non riesco a parlare di calcio facendo finta che esso non sia poesia, a me adesso viene in mente proprio una lingua di fuoco: precisamente quella che, nell’Inferno dantesco, castiga in eterno Ulisse e suo compare Diomede. E che probabilmente rappresenta, nell’immaginario del sommo poeta, la tendenza a parlare troppo e troppo presuntuosamente, presupponendo da se stessi, con forsennato orgoglio, la capacità di affrontare missioni impossibili e imprese sovrumane.
Enigmatico destino, quello di Ulisse: carcerato da Dante nell’inferno profondo, che punisce i peccati più peccaminosi, quelli che sovvertono i segni e ingannano anche le menti più accorte. E pure sempre infinitamente affascinante, al punto che Primo Levi si ricorda appunto di lui, per rappresentare quel residuo di dignità umana che può sopravvivere nell’abiezione dei campi di sterminio. E dunque – per tornare, come dobbiamo, al pallone da cui eravamo partiti – non è forse folle il volo di questo Catania, iniziato dalla zona retrocessione diretta e proseguito per cinque vittorie di fila, sempre acquistando dal lato mancino (della classifica)? Un volo cui i rossazzurri hanno fatto ali dei loro muscoli, oggi capaci di sprigionare impressionanti momenti di corsa pura (penso a Castro) laddove Ventrone li aveva ingessati nella compassata impotenza del passeggio. Un volo che, oggi, ci spingerebbe a riempirci la bocca di proclami inauditi – ma attenti alle lingue di fuoco! – se il buon senso non intervenisse a frenare l’orgoglio e a rammentarci che avremmo dovuto svegliarci prima. Un volo che però, per tardivo che sia, non può non suscitare in fondo a noi i sogni più audaci. Risvegliando quel residuo d’infanzia senza il quale nessuno di noi potrebbe mai esser tifoso.
Basta. Cerchiamo di raggiungere la salvezza, se ci riusciamo, dalla prossima difficilissima partita di Bologna. E giuriamo solennemente di non rivolgere più, neanche per un attimo, lo sguardo verso lo specchio; nel quale ci siamo tanto a lungo guardati con compiacimento, mentre gli altri pedalavano e ci lasciavano lì in fondo. Prepariamo la prossima gara tenendo la lingua a freno ancor più di quanto siamo soliti fare. E soprattutto guardandoci bene dal pronunciare una parola.
Quale? Sì, esatto. Proprio quella.