Corte dei conti, a giudizio sette capigruppo Ars Contestate «spese pazze» per due milioni di euro

L’inchiesta sui fondi dei gruppi parlamentari dell’Assemblea regionale siciliana, per le cosiddette «spese pazze», arriva a un primo passaggio: la Corte dei conti ha citato in giudizio sette capigruppo dell’Ars della scorsa legislatura. La cifra più grossa sono i 700mila euro contestati a Francesco Musotto, ex capogruppo del Movimento per le Autonomie (Mpa). Tra le spese «non giustificate» anche 45mila euro che Musotto sostiene di avere consegnato in una busta all’ex presidente della Regione, Raffaele Lombardo, il quale però ha negato di avere ricevuto denaro dal gruppo parlamentare del Movimento. All’ex capogruppo del Pd, Antonello Cracolici, sono contestate spese per 500mila euro che comprendono i pranzi dei deputati alla bouvette e le anticipazioni per bollette varie. A 407mila euro ammonta la spesa attribuita a Rudy Maira (Udc, poi Pid): la procura generale della Corte dei conti lo accusa, tra l’altro, dell’erogazione di un’offerta per cinque messe di suffragio in memoria del padre dell’ex presidente dell’Ars, Francesco Cascio. Sono stati citati anche Innocenzo Leontini (Pdl, 110mila euro), Giambattista Bufardeci (Grande Sud, 62mila euro), Cataldo Fiorenza (Mpa, 31mila euro) e Cateno De Luca (Gruppo misto, quattromila euro). 

Tra il 2008 e il 2012, secondo la Guardia di finanza, sarebbero state rendicontate somme spese per iniziative politiche o per esigenze personali che non possono essere ricondotte a «fini istituzionali» oppure non sono comunque giustificate. Non solo tablet, raccolte di fumetti, necrologi, pranzi e regali di nozze, ma coi fondi pubblici i gruppi parlamentari in Sicilia pagarono anche salumi, bistecche, mazzi di mimose e persino bollette dell’Enel e canone Rai che avrebbero dovuto pagare di tasca propria gli onorevoli. Una montagna di scontrini sono stati spulciati dalla Guardia di finanza e allegati alle 1.279 pagine del rapporto consegnato alla procura di Palermo che ha aperto l’inchiesta penale che ipotizza il peculato. Nel registro degli indagati vi sarebbero 97 persone, tra cui 83 politici, una trentina rieletti e attualmente in carica, più 14 consulenti dei gruppi. I sette capigruppo ora citati in giudizio dalla Corte dei Conti sono chiamati a rispondere di un danno erariale di circa due milioni.


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