Mel Gibson: il quinto cavaliere dell’Apocalisse?

Come da sempre i maestri dei media insegnano, il titolo, al di là del contenuto, è fattore di primaria importanza per la comunicazione: nell’articolo di giornale, quello “ad effetto” deve invogliare alla lettura; sul sito internet deve allettare il “topino” a concedere un click; in Tv deve convincere (non che purtroppo sia un’impresa eroica) a guardare l’ennesimo reality show; in un libro deve riuscire a tutti i costi a farlo mettere su di un comodino…

E’ indubbio che anche nel mercato cinematografico al titolo debba attribuirsi un considerevole contributo specie poi quando il regista in questione, lungi dalla ricerca di un semplice “effetto”, mira ad infliggere “un pugno allo stomaco”, forse più che allo spettatore alla critica, riassumendo già nel titolo l’essenza di metà dell’opera. Dacché ogni riferimento è puramente casuale, scagli la prima pietra chi non ha subito pensato al Mel Gibson o dal braveheart Da Signs, alla Passione di Cristo sino all’ultimo Apocalypto non è mancato in effetti sotto la locandina quel monito che sa tanto di Roller Coaster al Luna Park: <<se ne sconsiglia la visione a soggetti ipersensibili, malati di cuore, psicologicamente suscettibili o di età inferiore ai 18 anni>>. Ma sarà poi vero, o è soltanto una trovata pubblicitaria, un insensato ciarlare delle critiche più sfaccendate, un nostalgico ritorno all’Indice Proibito di una Chiesa che già con il, a mio parere innocuo, Codice da Vinci ha mostrato la sua pervasiva politica conservatrice? Insomma, Mel, sei davvero così apocalittico?

Ironicamente, sfogliando la pagine ingiallite del mio affezionato Piccolo Rizzoli La Rousse , alla voce “apocalisse” ho letto: <<titolo di opere che trattano della fine del mondo e dei destini dell’umanità>>. E’ certo che questa tematica, seppur un po’ tetra, debba molto interessare e soprattutto ispirare Mr Gibson; ma quanto di immorale o improponibile ci sia in effetti nel suo film risulta difficile dirlo. No, non me ne lavo le mani, altrimenti non avrei neanche iniziato a scriverlo questo pseudo-articolo! Esporrò la mia umile opinione e, per il resto, a chi gli compete l’ardua sentenza.

Non nascondo di essermi seduta sulla poltroncina rossa con un pregiudizio indotto. Ero quasi sicura che:

1)      Mi sarei procurata una bella congiuntivite a furia di leggere i sottotitoli (prima con l’aramaico e ora con il maya yucateco, Mel sembra aspirare ad un più acuto realismo);

2)      Non sarei riuscita a vedere almeno metà del film se non ad occhi chiusi per quanto di scabroso la critica asseriva di aver riscontrato;

3)      Avrei distorto quei già magri concetti storici sull’argomento che mi erano “più moralmente” stati inculcati al liceo.

Invece non credo di aver assistito ad atrocità superiori a quante non ne abbia già viste altrove: tra esecuzioni capitali in diretta, film nudi e crudi in prima serata, programmi non esattamente puritani e cartoni animati non proprio pacifici, mi scusino se non mi sono scandalizzata per i sacrifici umani a cuore aperto o per la degli scontri cruenti.

Così mi sono lasciata avvincere dalle storie del protagonista, Zampa di Giaguaro, e della sua tribù; dalla, oserei dire perfetta, resa scenica delle ambientazioni; dall’accuratezza dei costumi e dalla prospettiva del tutto originale proposta sul contesto storico-culturale, che investe l’altra faccia della medaglia, quella troppo spesso taciuta. Ed infatti la chiave di lettura del film viene subito inserita in incipit citando W. Durant :<<Una grande civiltà viene conquistata dall’esterno solo quando si è distrutta dal suo interno>>. Ed è proprio questo “interno” l’ apocalypto, ovvero , dal termine greco “apokàlipsis”, la “rivelazione” del film.

Non vorrei aver interpretato l’avvocato del diavolo lasciando trapelare che il film, checché se ne dica, MI E’ PIACIUTO! Semplicemente ho riflettuto sul ruolo della critica nella società attuale, che, salvo forse qualche filosofo contemporaneo, non credo meriti di essere assunta a protettrice della morale, tra l’altro fittizia, della cui esistenza ogni tanto grazie a qualche film sembriamo ricordarci. Il male impera sul pianeta e un film all’anno diventa il suo capro-espiatorio.

Volendo sentenziare, quando intorno a me vedrò più politici e meno politicanti, più devoti e meno religiosi, meno Armando Maradona e più veri eroi, meno Kate Moss drogate  ma pur sempre dive e meno grandi fratelli che disonorano il genio lungimirante di Orwell, allora dirò che Mel Gibson è un sadico, che i suoi film propongono modelli distorti e che non merita i suoi milioni di dollari. Ma, per adesso almeno, credo che l’ “apocalisse”, quella vera, o i destini dell’uomo citati sopra, non siano poi proprio nelle sue mani.


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