Niente processo stralcio e invio degli atti alla Corte costituzionale per le valutazioni di legittimità sull’abolizione del reato di abuso d’ufficio. Questo quanto stabilito dai giudici della seconda sezione penale questa mattina nell’ambito del processo Università bandita sul presunto sistema di favoritismi all’interno dell’ateneo di Catania. A sollevare la questione di legittimità era stata la […]
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Unict, sarà la Corte costituzionale a decidere sul futuro del processo Università bandita
Niente processo stralcio e invio degli atti alla Corte costituzionale per le valutazioni di legittimità sull’abolizione del reato di abuso d’ufficio. Questo quanto stabilito dai giudici della seconda sezione penale questa mattina nell’ambito del processo Università bandita sul presunto sistema di favoritismi all’interno dell’ateneo di Catania. A sollevare la questione di legittimità era stata la procura, il 30 settembre scorso, con un documento di 22 pagine firmato dai magistrati Santo Distefano e Raffaella Vinciguerra. Nell’udienza del 19 novembre diversi avvocati degli imputati avevano chiesto che venisse stralciata la posizione dei loro assistiti così da ottenere almeno un giudizio per alcuni capi d’imputazione. Ipotesi, quest’ultima, che oggi è stata negata.
A processo ci sono 51 persone accusate a vario titolo anche di corruzione, falso e turbativa d’asta. Per 39 di loro la procura aveva chiesto condanne che vanno dai 2 ai 10 anni avanzando invece richiesta di assoluzione per altri 12. In mezzo però, in un processo sul quale incombono i termini di prescrizione, si è messa la questione legata all’abolizione del reato di abuso d’ufficio, stabilita il 9 agosto 2024 con il ddl Nordio, disegno di legge che prende il nome del ministro della Giustizia Carlo Nordio e che modifica il codice penale, il codice di procedura penale e l’ordinamento giudiziario. Questione, quella dell’abolizione, sulla quale si è espressa favorevolmente nei giorni scorsi anche la presidente del Consiglio Giorgia Meloni durante l’assemblea elettiva dell’Associazione nazionale dei Comuni italiani.
I 51 imputati di questo processo inizialmente appartenevano a due filoni separati poi riuniti ma con alcuni stravolgimenti. Nel troncone principale – che vedeva coinvolte nove persone – la giudice Marina Rizza aveva disposto il non luogo a procedere per il reato di associazione a delinquere e aveva derubricato proprio in abuso d’ufficio le iniziali contestazioni di turbativa d’asta nell’ambito dei concorsi universitari. Un’altra giudice, Simona Ragazzi, aveva invece rinviato a giudizio i 45 imputati del filone secondario senza modifiche ai capi d’imputazione. Per i magistrati etnei ritenere inapplicabile la turbativa d’asta per i concorsi pubblici e ritrovarsi senza la possibilità di contestare l’abuso d’ufficio è «un vuoto normativo incolmabile», si legge nel documento inviato alla corte costituzionale. In mezzo quello che viene definito un paradosso, ossia la particolare situazione per la quale «per un medesimo fatto storico vi sono imputati ai quali è contestato l’abuso d’ufficio e imputati correi nello stesso reato per i quali si era proceduto separatamente ai quali, invece, è contestata la turbativa d’asta».