Giornalisti, equo compenso: “L’accordo è una truffa”

L’accordo tra Federazione nazionale della stampa italiana e Federazione italiana editori giornali, dopo un anno e mezzo, è stato raggiunto. Dopo tanto discutere, sono stati stabiliti i minimi dell’equo compenso giornalistico, la legge  che dovrebbe proteggere i tantissimi giornalisti non assunti, e sono la maggioranza tra gli iscritti all’albo,  dallo sfruttamento.

Ma sarà davvero così? I numeri raccontano un’altra storia: secondo l’accordo sottoscritto, il trattamento economico minimo per un collaboratore coordinato e continuativo che lavora per un quotidiano producendo 144 articoli l’anno (non “brevi”) dovrà avere un trattamento annuo di almeno 3mila euro, pari a 250 euro al mese. Calcolando una media di 12 pezzi al mese, significa 20 euro ad articolo. Meno di ogni aspettativa. Non solo. Più scrive e meno guadagnerà: se il collaboratore produce tra i 145 e i 288 articoli,  gli potrà essere applicato un equo compenso che sia non meno del 60% del trattamento economico minimo stabilito per i primi 144 pezzi, quindi per un totale in più all’anno di 1.800 euro.

Contro l’accordo si è scagliato Enzo Iacopino, presidente dell’Ordine dei Giornalisti italiani: «Ci sono due punti essenziali che non ci consentono di valutare positivamente la proposta di accordo tra Fieg e Fnsi che nel testo richiama al “lavoro autonomo”: il primo è il continuo riferimento ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, in contrasto con quanto prevede la legge sull’equo compenso che al suo articolo 1 prevede che gli interessati siano “i titolari di un rapporto di lavoro non subordinato in quotidiani e periodici, anche telematici, nelle agenzie di stampa e nelle emittenti radiotelevisive”». Non solo, continua a scrivere Iacopino, «prevedere “per lo stesso committente” un numero di articoli (144 annuali) di almeno 1.600 battute per un importo di 3mila euro complessivi con una media di 250 euro mensili significa continuare a condannare alla fame migliaia di colleghi».
«La ratio della legge sull’equo compenso» conferma Maurizio Bekar, coordinatore della commissione lavoro autonomo Fnsi «doveva essere che un giornalista autonomo avrebbe dovuto avere un reddito per vivere. Ma con quelle tariffe sfido chiunque a poterci riuscire.

Bisognava applicare la legge, non interpretarla. Bisognava applicare l’articolo 1, vedere la retribuzione dei dipendenti, i parametri di retribuzione oraria, trovare degli schemi che, ammetto, non erano facili.

Come Commissione lavoro autonomo Fnsi avevamo proposto di pattuire con il datore di lavoro un tempo di lavoro, quindi il calcolo diventava matematico: se lavoravi 12 mesi da autonomo per quel datore di lavoro percepivi la stessa retribuzione lorda del dipendente. Si è però voluta introdurre artificiosamente una restrizione dell’area dei collaboratori a cui applicarla, solo e unicamente per venire incontro alle esigenze degli editori. Si sono inventati il parametro dei 3mila euro, e abbiamo pure avuto “fortuna” che non l’abbiano fissato a 5mila».


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