Le mani della mafia sull’imprenditoria palermitana. Nell’inchiesta che ha portato stamattina a 18 misure cautelari, 16 in carcere e due ai domiciliari, per la vicinanza alla famiglia mafiosa di Resuttana, che negli ultimi anni pare avere allargato i propri confini al centro di Palermo, ci sono anche i nomi di diversi insospettabili, titolari di attività […]
Palermo, il connubio mafia-imprenditoria per avere il controllo sulla città. In manette noti commercianti
Le mani della mafia sull’imprenditoria palermitana. Nell’inchiesta che ha portato stamattina a 18 misure cautelari, 16 in carcere e due ai domiciliari, per la vicinanza alla famiglia mafiosa di Resuttana, che negli ultimi anni pare avere allargato i propri confini al centro di Palermo, ci sono anche i nomi di diversi insospettabili, titolari di attività commerciali conosciutissime nel capoluogo di regione. Tra questi c’è il 36enne Benedetto Alerio, titolare di Almost Food srls e Gbl Food srls, società che gestiscono la nota catena di esercizi commerciali a insegna Antica polleria Savoca. Alerio è accusato di avere garantito a Cosa nostra e agli uomini orchestrati dal boss 65enne Salvatore Genova uno sbocco sicuro di investimento nel settore della rosticceria. Entrambe le società sono state poste sotto sequestro. Pesantissime le parole del gip, che nelle carte dell’inchiesta parla di «forme di penetrazione tale da potere rientrare nella nozione di impresa mafiosa».
Altro nome illustre tra gli arrestati è quello di Giovanni Quartararo, 56 anni, titolare dell’omonima catena di negozi di calzature, anche questa molto nota in città. Sempre secondo gli inquirenti, Quartararo avrebbe fornito al clan la disponibilità per l’organizzazione di incontri riservati tra uomini d’onore. Manette ai polsi anche per un imprenditore del settore edile, Agostino Affatigato, 63 anni, accusato di essere stato il referente per le estorsioni. Per il commercialista 57enne Giuseppe Mesia, che avrebbe interpretato il ruolo del vero e proprio consulente economico del clan e per il notaio Sergio Tripodo, 71enne, finito ai domiciliari, che avrebbe addirittura cercato Genova e i suoi sodali per dirimere alcune questioni personali riguardo l’occupazione di diversi immobili. Per lui l’accusa è di concorso in tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso. Sullo sfondo, il classico giro di estorsioni, reso capillare dalla connivenza di piccoli e medi imprenditori sparsi sul territorio, che avrebbero favorito l’espansione della famiglia di Resuttana, aiutandola persino nel recupero crediti e gettando le basi per un flusso di entrate destinate al proliferare dell’associazione mafiosa e al sostentamento delle famiglie dei detenuti.