Mentre l’Italia si dispera e muore a Roma si discute e non si fa nulla

LE MANIFESTAZIONI SI STANNO ACCENDENDO COME CENTINAIA DI LUCI SULL’ALBERO DELLA DISPERAZIONE

di Aldo Penna

Nel gennaio 2012 un movimento con precise rivendicazioni corporative mise in ginocchio la Sicilia impedendo alle merci, in entrata e in uscita, di circolare. Da allora molto è cambiato.
Prima di tutto la crisi che sta divenendo cronica, corrodendo la stessa base produttiva.

Senza i clamori della Grecia il tasso di povertà in Italia è balzato al 30%, a soli quattro punti dal disastro greco.
Senza rendersi conto della gravità della situazione gli inquilini dei Palazzi di Governo non tagliano i loro stipendi e aumentano le tasse. Senza rendersi conto che sopravvivere diviene ogni giorno più difficile per milioni di persone, si discute di riforme costituzionali come se i mali dell’Italia si concentrassero sulla nostra Carta Costituzionale e le sue procedure di revisione. Offuscati dal bagliore delle luci chi governa non vede il buio che oramai si stende come un nero drappo sulla vita e sulle speranze degli adulti di domani.

Proni ai diktat esterni e scambiando misure disastrose per il solo rimedio possibile un governo indeciso a tutto, tranne che a difendere se stesso, sta disseminando la società di micce che rischiano di prendere fuoco tutte insieme.
Le manifestazioni si stanno accendendo come centinaia di luci sull’albero della rassegnazione registrando l’adesione di migliaia di cittadini stanchi e frustrati. Solo in Sicilia
non si va oltre gli aderenti ai Forconi. Forse la memoria dei blocchi del 2012 e dei disagi subiti ha alimentato la diffidenza dei siciliani.
Eppure queste proteste sono un segnale forte. Fuori dalla ritualità dei sindacati ufficiali, troppo attenti a inserire le loro contestazioni nelle liturgie di governo, la disperazione e l’esasperazione cercano uno sbocco espressivo. Le rivendicazioni, confuse, non battono più il tasto corporativo.

Il ministro Lupi elenca i provvedimenti a favore degli autotrasportatori eppure la contestazione permane. Perché? Perché non basta il “recupero dell’accisa sul gasolio, il rifinanziamento del fondo per il sostegno al settore e l’apertura di un tavolo di confronto per i problemi degli autotrasportatori delle isole”. Non serve quando l’economia è in ginocchio e le merci non viaggiano più perché nessuno le richiede. Non bastano quando la luce in fondo al tunnel appare solo un miraggio, quando aziende costate una vita di sacrifici rischiano di evaporare. Siamo alla vigilia di una proletarizzazione di massa e il governo nazionale cincischia confuse e incomprensibili parole. La storia insegna che le rivoluzioni iniziano da gesti all’apparenza insignificanti e marginali. L’Italia ha mandato un grido di dolore già un anno e mezzo fa.

Cosa altro è l’enorme consenso a Grillo se non la disperazione di un popolo che cerca strade per farsi sentire? Come ha risposto, a ranghi serrati, il ceto politico? Con il dileggio e l’aggressione. Copione che rischia di ripetersi anche con le proteste di questi giorni che cercano con ostinazione di mantenersi nel solco della legalità.
Tra misure annunciate e non messe in atto, furbizie spacciate per innovazioni, conferme di privilegi presentate come rivoluzioni, Letta spera di tirare avanti. Anche se cercheranno di manipolare i dati statici, annunciano riprese inesistenti, la realtà dura e cruda mostra negozi vuoti e saracinesche chiuse, licenziamenti record e casse integrazioni per miliardi di ore.
Si può uscire da questa spirale? E soprattutto, possono tirare fuori il paese dal baratro in cui sta precipitando coloro che ve lo hanno condotto a passo di macabra danza?


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