Il pomodoro? Non si coltiva più al Sud, ma tra le nebbie del Nord!

UNA CAMPAGNA PROMOZIONALE LANCIATA DA LOMBARDI, EMILIANI, PIEMONTESI E VENETI RACCONTA AGL’ITALIANI CHE “L’ORO ROSSO” NON ABITA PIU’ NELLE CONTRADE DEL MEZZOGIORNO. A SPIEGARE IL PERCHE’ PENSANO I SOCIAL NETWORK, RICORDANDO I 300 CHILOMETRI QUADRATI DELLA CAMPANIA CONTAMINATI DA VELENI E SCARICHI. COSI’ LA CRISI DELLA “TERRA DEL FUOCO” SI SCARICA SI TUTTO IL MERIDIONE. IL ‘SOTTOSVILUPPO’ DELLA SICILIA

Un articolo di oggi del Corriere della Sera rilancia in grande stile una storia tutta italiana: una parte del Paese che approfitta delle disgrazie di un’altra parte del Paese. La parte disgraziata dell’Italia, neanche a dirlo, è una Regione del Sud: la Campania. Mentre il Nord Italia, come da copione, ne approfitta. Il tutto all’insegna di uno dei prodotti tipici dell’agricoltura mediterranea e della dieta mediterranea: il pomodoro.

Tutto nasce da una campagna pubblicitaria lanciata dal Consorzio Casalasco del pomodoro, 300 aziende agricole dislocate tra Mantova e Cremona (per il 75 per cento), con un 25 per cento che abbraccia la Provincia di Parma, il Veneto e il Piemonte. Un colosso da 220 milioni di fatturato l’anno. La campagna di promozione è ormai una specie di tormentone: “Solo da qui. Solo Pomì”.

La campagna – e non è certo un caso – è partita in concomitanza con le rivelazioni del pentito Carmine Schiavone, che racconta, alla fine, le malefatte della classe dirigente campana avallate, anzi nascoste dal Governo nazionale di centrosinistra del 1996: per intendersi, il Governo Prodi. Che, pur in presenza di rivelazioni gravissime, ha preferito tenere tutto nella ‘pancia’ a colpi di ‘omissis’.

Oggi le rivelazioni di Schiavone vengono rese note. E si scopre che in Campania, nella ‘Terra del fuoco’, ci sono 300 chilometri quadrati di territorio contaminati, anzi, per meglio dire, massacrati da veleni e scarichi industriali. Con buona pace delle mozzarelle di bufala campane e del pomodoro, se è vero che quello che un tempo era “l’oro rosso” vedeva proprio nella Campania una delle Regioni italiane dove questa coltura era particolarmente diffusa.

Un colpo durissimo non soltanto per la ‘pizza napoletana’, ma per una coltura che è sempre stata gloria e vanto delle contrade del Sud. Invece, adesso, ci spiegano che il migliore pomodoro d’Italia non ha bisogno del sole del Sud, ma delle nebbie del Nord. Le leggi dell’agronomia capovolte e piegate agli interessi del Nord Italia. 

Possibile? Certo, se l’alternativa è il pomodoro della ‘Terra del fuoco’, beh, meglio tenersi i pomodori delle nebbie del Nord. Il messaggio che sta passando sui social network è il seguente: il pomodoro prodotto nel Nord è ‘tracciabile’ (da ‘tracciabilità’, ovvero la possibilità, per i consumatori, di conoscere tutto sulla provenienza del prodotto: luogo di coltivazione, terreno, sementi, pratiche agronomiche, pesticidi), mentre quello campano è ‘tracciabile’, ma in negativo: se arriva dalla ‘Terra del fuoco’, inquinata dai veleni, meglio non mangiarne.

Il disastro ecologico della Campania, combinato con la debolezza economica del Sud, penalizza tutto il pomodoro prodotto nel Mezzogiorno. Tant’è vero che, nella campagna di promozione, si sottolinea che, ormai, il 50 per cento del pomodoro italiano si produce del Nord Italia. E poco importa se il sole del Nord è pallido e non è certo il massimo per la pianta di pomodoro!

La campagna del pomodoro ‘nordista’ mette a nudo anche il fallimento pressoché integrale della Sicilia. Con una Regione Autonoma che non ha mai saputo programmare nulla di serio in agricoltura, pur avendo a disposizione ben due facoltà di Agraria, una a Palermo e una a Catania. E dove gli industriali, lungi dal puntare sull’agroindustria, preferiscono adagiarsi sulla spesa pubblica improduttiva o, al limite, sull’industria dell’immondizia.

Insomma il Nord dell’erba medica e del mais, adesso, ci ‘insegna’ anche a coltivare i pomodori. Approfittando delle disgrazie della Campania. La classe dirigente campana e il Governo nazionale della seconda metà degli anni ’90 hanno nascosto tutto? Noi, ora, vi diamo il colpo di grazia… Nel nome dell’Unità d’Italia e, soprattutto, della solidarietà…

Per la Sicilia, lo ripetiamo, è una sconfitta su tutta la linea. Culturale prima che politica ed economica. L’esempio del fallimento integrale della classe dirigente siciliana, per ironia della sorte, ce lo dà proprio il pomodoro.

Mettiamo da parte il pomodoro di pieno campo – dove dovremmo essere tra i primi insieme con Campania e Puglia – e pensiamo solo al pomodorino di Pachino e al datterino di Porto Palo di Pachino. Due colture uniche nel loro genere che solo lo sfascio totale della Regione siciliana è riuscita a non valorizzare.

Sapete a quanto si vende il pomodorino di Pachino e il datterino nei luoghi di produzione? A 0,30-0,40 euro al chilogrammo. Sapete quanto si vende nei mercati di Bologna e di Milano? A 5, o a sei e, talvolta, a 7-8 euro al chilogrammo.

In pratica, i produttori siciliani vengono ‘affamati’. Mentre i commercianti si beccano il 90 e passa per cento di valore aggiunto!

Certo, manca l’organizzazione. Manca la Sicilia. Nel Consorzio Casalasco ci sono 300 aziende associate. Dalle parti di Pachino già è un successo se padre e figlio, entrambi produttori agricoli, vanno d’accordo. Tutto vero.

Ma cosa ha fatto la Regione, in tutti questi anni, per cambiare questa mentalità? Nulla. Basti pensare che in Sicilia non esiste una piattaforma dove confezionare il pomodorino e il datternino di Pachino. Si confezionano nel centro Italia.

In teoria, il pomodorino o il datterino prodotto a Pachino e a Porto Palo di Pachino che ritroviamo nei supermercati di Palermo o di Messina è stato prima trasferito nel Centro Italia, confezionato e rimandato in Sicilia.

In teoria. perché il pomodorino che troviamo in tante città siciliane, nel 90 per cento dei casi, non ha alcuna indicazione (di solito quand’è così arriva dalla Cina) o porta la dicitura: “Prodotto italiano” (forse, aggiungiamo noi).

Insomma, in tutto questo, non solo non riusciamo a valorizzare una produzione che dovrebbe rendere ricche le località dove si producono pomodorino e datterni. Ma nemmeno riusciamo a gustarli…

 


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