Il Pd siciliano e il suo ‘nuovo’ burattino

Dà una strana sensazione scrivere queste righe mentre in televisione si succedono i film di Francesco Rosi per celebrarne il Leone d’Oro alla Carriera consegnatogli al Festival del Cinema di Venezia,

Mentre scorrono in sottofondo le immagini e i dialoghi tante volte viste ed ascoltati con rabbia ed impotenza di ‘Cadaveri Eccellenti’ e de ‘Il Bandito Giuliano’, una nuova fase si apre nella Sicilia martoriata e offesa dai Cuffaro e dai Lombardo e dai loro tardi e tragici epigoni del Pd/Udc.

Da poche ore il Partito democratico, quel pallido fantasma di un sogno a lungo coltivato e presto tradito, non è più un Partito di sinistra. L’ansia di potere che altri eufemisticamente chiamano “vocazione maggioritaria” ha definitivamente escluso il Pd dal panorama delle forze che lavorano per il cambiamento della Sicilia.

Anni di colpevole consociativismo, di collusioni antiche e recenti, di compromessi su valori non negoziabili, di infinite clientele, di discussi e discutibili rappresentanti, di assoluto disprezzo per la base degli iscritti e dei militanti, hanno portato il Pd al risultato di oggi che lo vede a sostegno di un candidato politicamente insignificante, culturalmente non eccelso, platealmente considerato un ennesimo, tragico, burattino, di cui tirare i fili, secondo la migliore tradizione degli ultimi anni del partito. (a destra, foto tratta da ilsussidiario.net)

La perdita della leadership morale – e da oggi di quella politica – del centrosinistra apre nuove scenari che solo in parte hanno a che vedere con la vicenda siciliana.

Con quanto accaduto oggi in Sicilia si apre una voragine sotto i piedi degli esponenti nazionali, ormaì da mesi a sostegno acritico del Governo Monti e datati nel pensiero e nell’azione, logorati dal potere avuto e non saputo gestire e dall’incapacità di essere opposizione vera prima a Berlusconi e oggi al Governo dei Professori che sta stremando l’Italia, senza proporre in cambio un progetto alternativo, un sogno forte che restituisca fiducia a famiglie, imprese, enti locali, istituzioni, scuola ed università.

Un Governo triste, come tristi appaiono coloro che continuano ad appoggiarlo. Le carrellate televisive che talvolta ne propongono i volti in Parlamento rinviano alla nota immagine del film di Visconti in cui gli ultimi ‘Gattopardi’ seduti negli stalli ad essi spettanti per diritto divino, partecipano al il Te Deum, coperti della polvere del lungo viaggio in carrozza sulle trazzere siciliane.

Mummie di se stessi, giovani e vecchi esponenti di un ceto che la storia sta per superare, essi non si rendono conto che quel Te Deum in loro onore è in realtà un De Profundis.

Proprio come accade oggi ai Bersani, Bindi, D’Alema ed ai loro rappresentanti siciliani: quei e tanti altri che non si rendono conto di star pagando l’appoggio colpevole al peggior governo che la Sicilia abbia mai avuto.

Essi ancora pontificano, scelgono candidati, compilano liste, tessono alleanze, governano clientele come se fossero vivi ed invece sono già morti. Si sono estinti nel cuore della gente semplice che essi hanno illuso con il mercato del precariato, si sono spenti nella mente dello sparuto gruppo di intellettuali che, più per rispetto alla tradizione del Pci di Pio la Torre che per altro, si sono sovente girati dall’altra parte e non hanno saputo ammonire, voluto dissentire, potuto criticare.

E questo non è accaduto anni fa, ma sino alle recenti elezioni amministrative di Palermo dove “in nome dell’unità della sinistra” ormai logoro feticcio di tempi passati, molti di essi erano pronti a consegnare la quinta città d’Italia ai Cracolici, ai Lumia ed ai burattini da essi manovrati.

Oggi si consuma una nemesi politica a lungo annunciata ed altrettanto a lungo rinviata per troppe esitazioni o nella speranza che, seppur all’ultimo minuto, nei dirigenti del Pd si agitasse un moto di auto critica, di disgusto per il proprio operato e per le nefande conseguenze sullo stato presente della Sicilia e dei Siciliani.

Qual è da oggi in poi il nuovo scenario del centrosinistra in Sicilia? Quali saranno le evoluzioni della riflessione e della prassi politica di un nuovo soggetto che – attualmente articolato in più segreterie – potrebbe, intorno alla figura del Presidente della Regione, compiere un nuovo passaggio ed evolvere verso un soggetto unitario e innovativo nel linguaggio e nell’identità?

Con la necessaria immaginazione che è l’unico legittimo nutrimento della mente di un uomo politico e di un intellettuale provo a prefigurare quali dovranno essere le prime cinque emergenze da trasformare in progetto nel momento in cui Claudio Fava sarà proclamato Presidente della Regione siciliana eletto a suffragio universale e diretto.

Mi limiterò ad elencare alcune priorità, rinviando ad altri articoli ogni necessario approfondimento che dovrà trasformarsi in un vero e proprio Programma di Governo da sottoporre agli elettori. Non va infatti dimenticato che, nella consueta ridda di nomi di questi mesi, non una parola è stata detta finora circa i programmi, il modello di sviluppo, i rapporti tra Autonomia e Governo Centrale, tra Regionalismo e visione europea. Fatta adesso una maggiore chiarezza tra schieramenti e candidati, vincerà solo il candidato che saprà coniugare presente e futuro, avendo ben chiaro un passato da (non) dimenticare per non replicarne i fatali errori.

Non vi è dubbio che il primo tema da affrontare riguardi natura e sostanza dell’Autonomia Siciliana, concepita e nata in anni ormai lontanissimi in cui altre istanze ne alimentarono la frettolosa concessione e che oggi in molti casi rappresenta una camicia di forza, una gabbia in cui è rinchiuso il potenziale di sviluppo della Regione.

Al secondo posto vi è la razionalizzazione delle straordinarie risorse professionali che in quantità e qualità sono presenti negli uffici dell’Ars e dell’Amministrazione, poiché anche il luogo comune della generalizzata incompetenza va rivisto e vanno piuttosto razionalizzate competenze, ruoli e funzioni in un’ottica di valorizzazione dei migliori e di allontanamento radicale di quanti sono solo il frutto colpevole ed incestuoso del clientelismo.

Discende dal punto precedente la scelta di fondo per i prossimi decenni che consiste nella risposta all’annosa domanda di quale sia la risorsa strategica primaria dell’Isola: il turismo? l’agricoltura? la posizione del Mediterraneo?

Niente di tutto ciò, o meglio, tutto ciò ma solo dopo aver raggiunto la consapevolezza che la vera risorsa della Sicilia sono i Siciliani. I giovani siciliani, le nostre ragazze ed i nostri ragazzi condannati in questi anni a fare a meno di una buona scuola, di un’Università che dialoghi con il territorio e con il mercato del lavoro, di una formazione professionale che si giustifichi solo in base ai risultati occupazionali che genera e non alla quantità di addetti che occupa.

Un obiettivo importante sarà il patto con ciò che resta dell’imprenditoria isolana.

Una visione moderna del governo di un territorio non può nascondersi dietro il sacrosanto diritto della libertà d’impresa per disperdere in mille rivoli i “residui” interventi di sostegno all’economia sia di natura ordinaria che europea. Gli obiettivi di sviluppo non potranno che essere “veramente” solo quelli della convergenza prevista da Europa 20-20, quali condizione del necessario dialogo con l’Unione Europea intesa non più come una mucca di cui mungere le ormai scarne (per la Sicilia) mammelle quanto, piuttosto, per armonizzare formazione, orientamento al lavoro, scelte d’impresa.

Parole chiare infine e fatti altrettanto concreti dovranno riguardare il tema della sicurezza del territorio e della capacità della burocrazia di favorire lo sviluppo. L’assenza combinata di tali due pre condizioni dello sviluppo è all’origine dell’attuale assenza della voce “Sicilia” dalle agende degli investitori europei e mondiali.

Quindi meno teatrini sull’antimafia da parata, esibita come un logoro distintivo dietro il quale i comportamenti rimangono inalterati e più accertamenti su ciò che accade nelle stazioni appaltanti, nella conduzione degli uffici pubblici , nei processi educativi e formativi, nell’incoraggiamento del merito e nell’individuazione del (vero) bisogno, nella contrazione dei tempi di risposta a cominciare dagli ultimi e dai più bisognosi. Proprio essi spesso alimentano, loro malgrado, la macchina del favore , costretti a rinunziare dopo i primi frustranti tentativi alla forza del proprio diritto, perpetuando così generazioni di politici che solo su tali basi hanno costruito il proprio consenso.

Ci sarà tempo per parlare e per scrivere delle tante altre pietre miliari che dovranno segnare un percorso di governo lineare, coerente, controllabile e verificabile da strumenti di partecipazione che costringano i rappresentanti a verificarsi costantemente con il rispetto dei programmi proposti agli elettori. (a sinistra, foto tratta da nformasicilia.it)

Tante pietre miliari che dovranno segnare il cammino di un autonomo riscatto che il mondo si attende da tutti i siciliani, ma che soprattutto noi dobbiamo a noi stessi, poiché in una democrazia ciascuno è sempre in tutto o in parte responsabile di coloro che ha eletto sia a governare che a controllare l’operato dei governanti.

Una consapevolezza questa che, una volta dimenticata, apre tragicamente la strada all’antipolitica e all’astensionismo dietro i quali sono sempre in agguato i poteri più oscuri e le “intelligenze finissime” che hanno sempre saputo costruire sul destino della Sicilia dinastie e fortune ai danni dei più deboli.

Così scriveva nel 1967 Pippo Fava nell’indimenticabile descrizione di Palma di Montechiaro: “Forse il limite più tragico del Sud è questo: la sua incapacità a salvarsi”. Possano queste parole terribili risuonare giorno e notte come monito nel cuore e nella mente di quanti avranno presto il legittimo potere di determinare il destino della nostra terra.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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