Il baratto al posto della moneta? E perché no Specie se mediato da Internet

di Economicus 

Si può eliminare la moneta negli scambi commerciali? In Italia, oggi, sono in tanti a provarci. Come? Scambiando beni e servizi con altri beni e altri servizi. Senza usare i soldi, ma sfruttando la potenza di Internet. In pratica, il baratto mediato dalla rete. Anche se organizzato, come vedremo, in modo sofisticato. Con l’avvento dell’euro anche in Sicilia c’è chi ha provato a creare un’alternativa alla divisa europea. C’è chi ha pensato a un mezzo di scambio diverso. E c’è chi, alla luce di interessanti esperienze che vanno in scena da tempo nel nostro Paese, sta pensando, per l’appunto, di eliminare la moneta, quanto meno per alcune transazioni.

Con il supporto del circuito Sardex presto in Sicilia decollerà Sicanex. Per capire di cosa si tratta dobbiamo fare un paio di passi indietro e vedere come, grazie alla rete, funziona oggi il baratto e in particolare, cosa è Sardex. (a sinistra, foto tratta da genitronsviluppo.com)

Cominciamo col dire che questo sistema è un antidoto alla stretta creditizia. Il sistema, semplificando, funziona nel seguente modo: ogni azienda che intende entrare nel circuito paga un abbonamento annuale. Questo consente ai titolari di ogni impresa di scambiare i prodotti senza alcun pagamento (c’è solo una commissione sulle vendite). Chi vende un prodotto non è obbligato ad accettare la merce di chi acquista, ma può comprare ciò di cui ha bisogno presso altri fornitori del network (cioè del circuito). Lo stesso network garantisce ogni transazione dal rischio d’insolvenza grazie ad accordi con società assicurative.

Come si può notare, si vendono e si acquistano beni e servizi senza utilizzare denaro. Può sembrare l’uovo di Colombo, ma riflettendoci su, non è difficile capire che, grazie a questo metodo, si mettono in moto scambi commerciali che l’attuale stretta creditizia operata dalla Bce non consentirebbe. A conti fatti, si tratta di un modo per bypassare le banche e tutto il cervellotico sistema dell’euro che ha mandato in tilt le economia del Vecchio Continente. (a destra, foto tratta da italiamagazineonline.it)

“Il primo network è stato BexB, spa bresciana nata nel 2001 e che da allora ha intermediato 200 milioni di euro: 72 milioni solo nel 2011, quando ha concluso 9 mila operazioni (circa 25 al giorno) sulle 60 mila totali portate a termine in dieci anni di attività – leggiamo in un recente servizio pubblicato da Il Sole 24 Ore -. Il circuito conta oltre 2200 Pmi associate in tutto il Paese (con un fatturato aggregato di circa 21 miliardi di euro), che coprono circa 160 settori merceologici dall’edilizia all’arredamento, dalla meccanica alla chimica, all’informatica, «e le adesioni stanno crescendo al ritmo di 50-60 al mese», afferma Simone Pietro Barbone, marketing account. «Il trend annuale di crescita è del 15-20%, ma nel 2011 è stato quasi del 30 per cento». BexB ha una quota associativa che varia (da 500 a 4 mila euro) in base alla classe di fatturato dell’azienda, così come le provvigioni (dal 2 al 50%).

Accanto a BexB spa sono sorte altre esperienze. Una di queste è Sardex. E’ il circuito dal quale dovrebbe prendere le mosse la prossima esperienza siciliana. L’iscrizione al circuito prevede il pagamento di una quota, ma il modello di Sardex differisce da tanti altri circuiti carter. In questo circuito non si pagano provvigioni sulle transazioni. “Erano una barriera all’ingresso”, dicono i protagonisti di questa esperienza, che hanno preso esempio da quanto fatto nell’Iowa.

I volumi di adesione sono in grande crescita: 500 aziende registrate e altre 300 in attesa di registrazione.

Nel 2010 sono stati scambiati 350 mila crediti Sardex (un credito Sardex per comodità e facilità equivale a un euro). 1,2 milioni nel 2011 (+370%), e in questi primi mesi del 2012 sono oltre 600 mila i crediti Sardex scambiati.

Sardex, la stessa parola lo dice, ha sedi a Cagliari e a Serramanna e opera in un ambito prettamente locale. Obiettivo: favorire lo sviluppo delle imprese della Sardegna.

Da Sardex, come accennato all’inizio, dovrebbe prendere le mosse un circuito siciliano: Sicanex. Per la Sicilia – per le imprese siciliane – si tratta di una grande opportunità. Un modo che potrebbe rivoluzionare l’economia e, in particolare, il commercio dell’Isola.

La Sicilia, come del resto tutto il Sud d’Italia, non ha più un sistema creditizio di riferimento. Tutte le banche che operano nell’Isola – con le eccezioni delle Casse rurali e di qualche piccola banca locale – drenano il risparmio locale per impiegarlo, nella stragrande maggioranza dei casi, in altre regioni italiane. Con un’ulteriore fregatura: pagando le imposte nelle Regioni di provenienza. Basti pensare al Banco di Sicilia non più di Sicilia: con il suo definitivo passaggio sotto le bandiere di Unicredit, l’Erario della regione siciliana ha perduto circa 300 milioni di euro all’anno.

Le banche che operano in Sicilia erogano il credito con il contagocce. Le banche, per certi versi, hanno le loro ragioni: il sistema economico e imprenditoriale siciliano è fragile e i crediti finiscono spesso in ‘sofferenza’. L’ormai ultraventennale mancanza di dialogo tra banche e imprese ha finito con il favorire il ricorso, da parte degli imprenditori, ad altre forme di credito: gli strozzini. Che, sempre più spesso sono mafiosi che, poi, si prendono le aziende.

Dalla fine degli anni ‘80 del secolo scorso ad oggi, in Sicilia, si organizzano dotti convegni per spezzare questo cerchio. Ma, al di là dei Consorzi fidi, è decollato ben poco. Da qui l’interesse per un sistema che potrebbe funzionare come alternativa radicale a un sistema bancario che, dai primi anni ’90, non ha fornito adeguate risposte ai problemi delle imprese siciliane.

Ma, a parte le imprese in generale, il sistema del baratto via Internet – perché alla fine di questo si tratta – potrebbe aiutare l’agricoltura siciliana e, perché no?, anche le famiglie. Oggi tutto il settore è in crisi. A cominciare da due comparti classici; cerealicoltura e agrumicoltura.

Pur producendo uno dei migliori grani duri d’Europa e arance di elevata qualità, gli agricoltori siciliani non sanno a chi vendere i propri prodotti. Complice un’Unione Europea che non aiuta le agricolture mediterranee, ma le grandi multinazionali commerciali della Mitteleuropea.

Con questo mezzo di scambio senza moneta i produttori di grano duro siciliano potranno vendere il proprio prodotto alle piccole aziende e ai piccoli mulini siciliani che potrebbero tornare a produrre pasta e pane con il grano duro siciliano.

Non solo. Oggi i prodotti agricoli siciliani di grande qualità, spesso, non vengono consumati in Sicilia. E’il caso del pomodorino di Pachino o del Datterino di Pachino e di Porto Palo. Prodotti che vengono pagati al produttore da 0,40 a 0,50 euro al chilogrammo. Per essere rivenduti a un prezzo che va da 8 a 12 euro al chilogrammo nei mercati di Bologna e Milano.

Invece di vendere il proprio prodotto a questi ‘banditi’, i produttori siciliani, entrando nel circuito del commercio senza moneta, spunterebbero prezzi di gran lunga maggiori. Coinvolgendo nel sistema anche i consumatori, si potrebbe consentire ai siciliani di mangiare prodotti di qualità e non i pomodorini che arrivano da chissà dove.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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