Elezioni a Palermo: una lettera fuori dal coro

di Gabriele Bonafede?

Scusate la voce fuori dal coro, ma mi sembra che a Palermo si stia realizzando una specie di “piccola dittatura”. Ce ne sono tutti i presupposti, compreso beneplacito e sostegno da una buona fetta d’intellettuali. Spero che la mia opinione non mi crei problemi, non fomenti insulti contro di me, e cose simili… Sarebbe oltretutto una conferma che le mie perplessità sono ben reali.

E invece, vorrei proprio sbagliarmi. Non vorrei che Palermo cada in una specie di piccola dittatura sia pure “benevola”. D’altronde, tutte le dittature sono “benevole”, almeno inizialmente, e portano sempre belle città e “gli autobus in orario”. Ma portano anche problemi ben maggiori.

Non conosco Leoluca Orlando personalmente e credo di essere tra i pochissimi palermitani che possano pregiarsi di poterlo dire: di questi tempi, vedo solo osanni e genuflessioni che lasciano, francamente, un poco perplessi. E quindi, mi ritengo in grado di guardare le cose con più distacco, con più freddezza.

Se Orlando verrà eletto avrà 30 consiglieri su 50 che lo sosterranno. E per giunta, sono 30 creazioni politiche personali sue, proprio perché “non appartengono ai partiti” rispondono a lui e solamente a lui. Insomma, a Palermo ci sarà, in piccolo, la copia che abbiamo visto negli ultimi anni (e che purtroppo c’è ancora) a Roma: un emiciclo con maggioranza fatta da uomini e donne che sono “creazioni politiche” di Berlusconi.

A Roma Berlusconi ed a Palermo Orlando. La capacità e la presa comunicativa che ha Orlando a Palermo è straordinaria. Gli ho sentito dire alcune esemplificazioni che lasciano di stucco: proprio come fanno coloro i quali amano comandare soli ed accentrare il potere quanto più possibile. Ad esempio, ho la spiacevole sensazione che Orlando voglia far passare l’idea che chi è con lui è anti-mafioso, chi è contro di lui è mafioso o “amico dei mafiosi”… Su questo, spero proprio di sbagliarmi, altrimenti si arriverebbe alla criminalizzazione di chi non ha un’opinione favorevole ad Orlando. E questa cosa, comporterebbe la peggiore delle sciagure portate da una dittatura: il reato d’opinione.

Ed in un tessuto socio-economico lacero e strappato, e per giunta in profonda crisi come quello di Palermo, cosa succede in più? Succede che serpeggia nei social network, nei giornali, nel mondo della comunicazione, negli ambienti di lavoro di ogni giorno, una crescita dell’omologazione nella massa. Una piccola paura di dire “io non sono con Orlando”, ed una corsa a dire “io sono con Leoluca”, come se ci si conoscesse personalmente da tempo e fosse motivo di merito, solo per questo.

Quali sono le ragioni di questa corsa all’ “orlandismo” che solo ieri sembrava morto e sepolto? Facile capirle: la disperazione ha ormai raggiunto pure lo strato borghese della città. E infatti, si prevede un plebiscito, maggiore di quello del 1993. Il palermitano torna al vecchio andare “megghiu tinta canusciuta chi buona a canusciri”.

Io invece dico a chiare lettere che non lo voterò, altrimenti ci sarebbe troppo potere in un uomo solo. Buono o cattivo che sia l’uomo che ha troppo potere, sostenerlo è un errore. La democrazia è un valore e va difesa. La dittatura, anche nelle sue sfumature, localizzazioni e forme più o meno diluite, non è un valore. In questo caso, non siamo per fortuna alla dittatura, ma siamo certamente ad una concentrazione eccessiva di potere nelle mani di un singolo, in un territorio circoscritto, per giunta osannato da tutti, a torto o a ragione.

Ma anche una dittaturuccia di tal guisa, può solo portare disastri. Le dittature, infatti, anche se in paesi piccoli o porzioni di territorio, portano disastri di solito nel lungo periodo anziché nel breve. Il che è peggio, perché, come si vede nella Palermo di oggi, i disastri del lungo termine sono peggiori di quelli del breve termine.

Caro Gabriele,

vorrei rassicurarti: a Palermo, con il ritorno di Leoluca Orlando sindaco, non si instaurerà alcuna dittatura. Al contrario, ci libereremo di una mezza dittatura del centrodestra durata dieci lunghi anni. E culminata con una città ridotta allo stremo.

In realtà, la risposta alla tua lettera l’ha già data, in buona parte, l’articolo che ha scritto qualche giorno fa sulle colonne del nostro giornale Aldo Penna. Palermo, ridotta ai minimi termini, si rivolge all’uomo che può salvarla: Orlando. Il grande consenso che tu vedi attorno ad Orlando da parte della città non è fatto di conformismo, ma da speranza: la speranza di tornare a una stagione che chi scrive non considera tutta positiva, ma che rispetto ai dieci anni bui di Diego Cammarata sono Paradiso.

Vorrei anche tranquillizzarti sulla democrazia: se nelle passate amministrazioni Orlando – e nel mondo politico e culturale che gli stava accanto – c’era una cosa che non è mai mancata, ebbene, quella è stata la libertà: la libertà di pensarla in modo diverso, di dissentire, di dibattere, di litigare, di dividersi. Per poi ritrovarsi sempre insieme su due o tre cose: l’onestà intellettuale, la libertà, l’insofferenza verso i prepotenti e i mafiosi.

Sul vecchio adagio siciliano – “Megghiu tinta canusciuta chi buona a canusciri”, mi permetto di ricordare che lo ha già utilizzato il leader del Pdl, Angelno Alfano,la domenica prima del voto, per provare a convincere i palermitani che Orlando era il vecchio e Massimo Costa il nuovo. Poi abbiamo visto com’è finita…

Quanto ai 30 consiglieri su 50 – il ‘famigerato’ premio di maggioranza che verrà assegnato alla lista di Italia dei valori – sappi che questa legge elettorale regionale senza capo né coda non è stata voluta da Orlando, ma dal Pd e dall’Mpa. E, segnatamente, da Antonello Cracolici e Raffaele Lombardo. I quali – tu magari non ci crederai, perché non hai molto tempo da dedicare alle vicende dell’Assemblea regionale siciliana che io invece seguo ininterrottamente dal lontano 1985 – pensavano, proprio con questa legge, di ‘conquistare’ Palermo e governarla a modo loro.

Orlando si sta soltanto limitando a usufruire del premio di maggioranza inventato, se proprio la dobbiamo dire tutta, da Cracolici. Vedi, caro Gabriele, quando, l’anno scorso, ho visto che Cracolici, da capogruppo del Pd all’Ars, ”armeggiava’ con la riforma elettorale dei Comuni, ho capito subito che avrebbe combinato un mezzo casino.

Io Cracolici l’ho visto crescere. Prima nella Fgci e poi, piano piano, nel partito. E’ sempre stato un ragazzo vivace, ma un po’ dannoso. Sapessi quante ne ha combinate. Se tu lo conoscessi come lo conosco io, non ti stupiresti del papocchio che ha ‘confezionato’ per le elezioni nei Comuni.

Ricordo che nel 1995, a Sala delle Lapidi – Cracolici era allora consigliere comunale, naturalmente a Palermo – c’era in discussione una delibera un po’ ‘truffalda’: una sorta di tabella H della cultura. Sui primi nomi delle istituzioni culturali da sostenere non c’era nulla da dire: erano, ricordo, il Teatro di Michele Perriera e quello di Beno Mazzone. Legittimo, giusto sostenerli. Nella parte ‘bassa’ della delibera, però, c’erano ‘cose strane’: cose che, a mio modesto avviso – e non soltanto a mio avviso – avevano poco o punto a che vedere con la cultura.

Ricordo che, in una seduta di Sala delle Lapidi, dissi all’allora assessore comunale alla Cultura, Francesco Giambrone: “Assessore, ma ‘ste cose della parte bassa non le potete levare’?”. Giambrone mi rispose: “Guardi che è il Consiglio comunale che le vuole, non noi”.

Così andai a parlare con Antonello Cracolici. Gli spiegai la ‘cosa’. Mi disse: “Bene. Mi piace il tuo modo di fare il giornalista. Bello ruspante”. Pensavo di averlo convinto. Qualche giorno dopo la delibera in questione venne approvata tutta intera: a ‘sacco d’ossa’. Poi credo che se ne pentì.

Cracolici è così: per prendere atto di una cosa sbagliata deve andare a sbatterci la testa. Ora, dopo il premio di maggioranza di 30 consiglieri comunali a una sola lista, capirà di avere sbagliato. Così come capirà di avere sbagliato nell’avere dato ascolto a Giuseppe Lumia nell’appoggio al governo Lombardo. Bisogna avere un po’ di pazienza: dobbiamo dargli il tempo per andare a sbatterci la testa…

Quanto alla dialettica dell’oscurantismo – chi è con lui, cioè con Orlando, è antimafioso e chi è contro di lui è mafioso – non è più una storia attuale. Negli anni ’80 certe estremizzazioni potevano anche essere giustificate dal clima dell’epoca: non ci dimentichiamo che, allora, la mafia ammazzava a ripetizione uomini dello Stato.

Oggi, per fortuna, il clima è mutato. Ed è mutata anche la prospettiva: un uomo politico ‘puro e duro’ come Lumia, per esempio, si ritrova ad appoggiare Lombardo e nessuno si sconvolge più di tanto. Certo, poi, magari, dentro le urne delle elezioni comunali di Palermo non si trovano più i voti per il Pd: ma questo,  a quanto pare, non è un problema, perché Lumia e Cracolici continuano ad appoggiare il governo Lombardo e, anzi, adesso vogliono pure il rimpasto della giunta: contenti loro…

Giulio Ambrosetti

 


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