Il peer to peer accusa i colpi delle major discografiche e del Decreto Urbani. In USA denunciate due casalinghe ed un nonno. Costretti a chiudere diversi produttori di software. In Italia scattano le prime denunce
Peer-to-peer sotto accusa
Sono a quota 17mila in USA i denunciati per lo scambio di file sulle reti di peer to peer. Tra questi pure un nonno sessantasettenne e due casalinghe, a cui però i giudici hanno riconosciuto l’incapacità di usare un pc: figuriamoci il P2P.
La RIAA (Recording Industry) e la MPAA (Motion Picture Association of America) hanno dichiarato guerra a tutti gli utenti di Internet che tramite programmi di file sharing condividono file coperti da copyright. Per questo motivo la caccia alle streghe sta investendo buona parte degli Stati Uniti mietendo vittime anche tra classi sociali il cui accesso a questo tipo di tecnologie è pura fantascienza. Moltissimi tra i denunciati hanno preferito patteggiare una pena pecuniaria invece che scontrarsi legalmente contro le major che, all’apice della loro furia, hanno chiesto al nonno di un giovane criminale informatico (11 anni ndr), ben 600mila dollari per i quattro titoli cinematografici rinvenuti sul suo hard disk, senza però che lui ne sapesse alcunchè.
Le azioni inoltre non si sono ridotte al rintracciare gli utenti, poiché i procedimenti legali si sono rivolti soprattutto alle case di produzione di software per lo scambio. I primi a cadere sono stati Grokster e Morpheus, mentre adesso nel mirino ci sono indistintamente tutti gli altri software come LimeWire, Emule, Exeem, Bit Torrent, ecc, nonostante i precedenti, come il caso Betamax Sony, li scagionino del tutto in qualità di semplici produttori di tecnologie. Il problema in questo caso però si allarga a macchia d’olio poiché con questa strategia si erodono pure le libertà degli sviluppatori di software Open Source, favorendo così i “soliti noti”.
In Italia il 12 Gennaio è stato condannato un trentenne del Veneto al pagamento di 3,660 euro per la messa in condivisione di svariati file; è bene precisare però che 2,600 euro della multa sono dovuti per l’oblazione (leggi: commutazione) dei due mesi e dieci giorni di carcere, in una semplice multa.
Il decreto Urbani prevede pene amministrative per i detentori o downloader di file coperti da copyright, mentre si cade nel penale se questi vengono rimessi nel network consentendone il download, equiparandolo così allo scopo di lucro. Come si saprà un procedimento di questo tipo segna indelebilmente il certificato penale, e la già citata oblazione è applicata con costi che vanno dai 3,000 euro in su.
Recentemente la normativa è stata in parte modificata, cambiando però sensibilmente la prospettiva: non è più lo “scopo di lucro” ad essere perseguibile di ammenda e/o denuncia penale, ma lo “scopo di profitto”. Cambia una sola parola, ma con quella si intende anche l’utilità che si ricava dal bene coperto da copyright in termini di piacere nell’ascolto e di non-acquisto (azione dunque profittevole) dei beni distribuiti attraverso i canali ufficiali.
La comunità del P2P insorge, mentre i tecnici provvedono ad ideare software che riescano a coprire gli IP (Internet Protocol, l’identificativo univo di ogni computer connesso in Rete) agli occhi degli spider delle major.
Intanto però le vendite di musica online crescono esponenzialmente, mentre la Sony Bmg in partnership con H3G Italia hanno avviato un progetto di vendita on-line e sui cellulari UMTS di musica, mentre la Sky di Murdoch permetterà agli utenti britannici di scaricare da un catalogo di oltre 200 titoli, film e molto altro.