Caos nei Pronto Soccorsi: una proposta

Pazienti che attendono ore prima di essere visitati. Altri pazienti che vengono ricoverati nelle lettighe. Medici e infermieri stressati da turni di lavoro massacranti. Il tutto mentre la politica – a livello nazionale e, per ciò che riguarda la Sicilia, a livello regionale – prosegue con la politica dei tagli. Questi sono, purtroppo, i Pronto Soccorsi italiani. Dove i disservizi sono all’ordine del giorno. Provocati non dai medici e dagli infermieri – che sono, insieme con i pazienti, le vittime di questo sistema – ma dalla politica incapace.
Sulla gestione dei Pronto Soccorso del nostro Paese, in questi giorni nell’occhio del ciclone, interviene Andrea Bottega, segretario nazionale del NurSind, ilsindacato degli infermieri che fa capo alla Cisal.
“Da anni – dice Andrea Bottega – gli infermieri italiani e il sindacato NurSind lo vanno dicendo ma la politica non ascolta: la soluzione per l’intasamento dei Pronto Soccorso è la valorizzazione e l’istituzione dell’infermiere di famiglia. L’elevato numero di codici bianchi (cioè i pazienti meno gravi che si catapultano nei Pronto Soccorso intasandoli) è la misura che il servizio offerto dai medici di medicina generale non è efficiente”. Il riferimento è ai cosiddetti medici di famiglia, che dovrebbero prendersi carico dei codici bianchi, evitando che questi ultimi invadano i Pronto Soccorso, peraltro sobbarcandosi turni di attesa spesso estenuanti.
“Il cittadino – osserva il segretario nazionale del sindacato degli infermieri – preferisce aspettare ore al Pronto Soccorso pur di ricevere una prestazione che non trova altrove. Il fenomeno dei ‘rientri’ (persone che si scompensano e rientrano più volte nella struttura ospedaliera) è il segnale che, dopo la dimissione dal Pronto Soccorso, non vengono seguiti adeguatamente”.
“In questi anni – prosegue il segretario nazionale del NurSind – si è proceduto a tagli alle strutture ospedaliere, ai posti letto, al personale dipendente pubblico, ma non si ha avuto il coraggio di rivedere la convenzione con i medici di medicina generale. Una convenzione che è un ‘tassametro’ per il servizio sanitario nazionale che si trova spesso a pagare due volte lo stesso servizio. Infatti, mentre il paziente è in cura, magari per mesi, presso una struttura ospedaliera, lo Stato che paga i medici e gli infermieri della struttura continua, nello stesso tempo, a pagare anche la quota al medico di famiglia che, nel 90 per cento dei casi, non si fa mai vedere o sentire”.
“La figura dell’infermiere di famiglia, presente in molti Paesi – sottolinea ancora Bottega – e prevista dal documento salute 21 della regione europea dell’OMS, permette di seguire ‘in famiglia’ le persone con problemi di salute e non autosufficienti. È una figura di raccordo con la struttura ospedaliera, il medico di base e specialista e il distretto socio sanitario. È da anni che anche l’Ordine professione degli infermieri (IPASVI) spinge per l’implementazione di questa figura, ma sembra che il sistema debba collassare prima che ci si accorga delle grandi potenzialità e professionalità che gli infermieri italiani possono offrire ai loro concittadini”.
“In questo periodo di crisi e con la passata esperienza, non mi pare condivisibile – conclude il segretario nazionale NurSind – voler insistere, come sembra fare il Ministro Balduzzi, sui medici di medicina generale. O si è disposti a provare strade nuove meno onerose e più efficaci, oppure c’è da sperare che l’Europa commissari non solo l’economia, ma anche il nostro Sistema sanitario nazionale”.

 


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