La (de)Formazione professionale

In un paio di occasioni mi è capitato di far da moderatore nel corso di dibattiti cui prendeva parte o avrebbe dovuto prendere parte anche l’assessore regionale alla Formazione professsionale, professor Mario Centorrino. La prima volta, in un istituto superiore di Marineo, mi chiese di intervenire per primo a causa di altri impegni “istituzionali”. Accolsi la richiesta e gli concessi la parola in apertura, pur facendo presente che la cosa non sarebbe stata gradita. Disse le sue cose e quando il primo studente stava per rivolgergli la propria domanda, salutò e andò via. Fu sonoramente fischiato.
La seconda volta, in occasione di una manifestazione dell’AGESCI sui beni confiscati alla mafia, cui prendevano parte il rettore dell’Università di Palermo, Roberto Lagalla, e il direttore della Pubblica Istruzione, Rosario Leone, il professore Centorrino non si presentò, inviando a rappresentarlo un giovane collaboratore che fu letteralmente massacrato dall’uditorio.
L’ esordio da assessore non era stato certo felice. Aveva iniziato invitando i siciliani a leggere meno Sciascia e Tomasi di Lampedusa, a suo dire aedi di una Sicilia irredimibile e, non lo disse ma si intuì, “sfigata”. Enorme fu lo scalpore e numerose le invettive da parte di intellettuali, docenti, studenti, semplici cittadini che, anche con qualche esagerazione, non gli risparmiarono critiche. Anche si trattava pur sempre di un professore ordinario, anche se dell’Università di Messina, lo invitarono comunque a recarsi… altrove.
Non ho mai capito in base a quale specifica competenza l’assessorato più caldo della Sicilia sia stato affidato proprio al professore Centorrino. Noto per essere un economista di area, vicino al centrosinistra e in costante cordiale competizione con il suo omologo palermitano, Salvatore Butera, già capo del Servizio Studi del Banco di Sicilia, il professore Centorrino ha rischiato in questi due anni di sprecare una lunga e dignitosa carriera accademica, trasformandosi in un mediatore non sempre efficace tra il governo regionale e la pletora degli enti di formazione professionale del cui ammontare, quando mi capita di parlarne fuori dalla Sicilia, tutti rimangono a bocca aperta.
Si tratta, infatti, ad oggi di 232 soggetti, in genere emanazione di patronati, sindacati e altra politica di bassa cucina dove furono arruolati nel tempo parenti, amici, amanti e legittime consorti di questo o di quel politico siciliano. Ovviamente, nessuna selezione, nessun accertamento di competenze, di capacità formative o di possesso dei contenuti disciplinari delle materie da “insegnare” e, figuriamoci!, nessuna certificazione da parte dei piani nobili della formazione italiana quali AIF o ASFOR che, nel nostro Paese, certificano con rigore, rispettivamente, formatori e scuole di formazione.
In più occasioni, attraverso avventurose nomine di dirigenti generali – l’ultimo, in ordine di tempo, è il piemontese Ludovico Albert, già direttore dell’Istruzione, Formazione professionale e Lavoro della Regione Piemonte nominato dalla giunta guidata a suo tempo da Mercedes Bresso (Pd) – sono stati fatti annunci di “rivoluzione copernicana”. Il dottor Ludovico Albert, gia docente di scuola media e poi passato alla Formazione Professionale Piemontese, è un burocrate abituato a lavorare, probabilmente bene, tra problematiche formalmente uguali ma nella sostanza siciliana, distanti tra di loro quanto e più la Terra sia dalla Luna. Anche se un progresso c’è stato, visto che per oltre 20 anni un suo illustre e potente predecessore del ramo “politiche per l’impiego” ha firmato decreti e nomine con il titolo di professore pur non avendo mai conseguito alcuna laurea.
Proprio venuto dalla Luna è apparso il dottor Albert, dichiarando al Quotidiano di Sicilia del 23 dicembre che “la cessione di ore tra Enti di formazione diversi è una pratica fisiologica in una regione con 250 soggetti (sic!) che operano nel settore”. Eppure il suo insediamento era stato accompagnato dalla qualifica di “azzeratore” del fenomeno, di “tagliatore di teste” eccetera, eccetera, eccetera. Sono trascorsi quasi due anni (a 250 mila euro l’anno per il dirigente generale in questione) e la situazione appare più ingarbugliata di prima: oggi in Sicilia ci sono 2675 percorsi formativi, pari a un corso ogni 1800 abitanti.
A fronte di un spesa prevista di circa 60 milioni di euro, è stato tagliato solo il 6 per cento. E, ancora, sarebbe accettabile (a denti stretti) se solo qualcuno avesse mai pubblicato un qualsiasi rapporto circa la percentuale di corsisti cui la formazione professionale siciliana ha reso possibile l’accesso ad una qualsiasi occupazione. Cioè, in poche parole, se qualcuno avesse mai verificato a cos’altro serva la formazione professionale in Sicilia, se non a mantenere i propri addetti.
Insomma, il professore Centorrino, formatosi in anni lontani presso il Centro di Specializzazione e Ricerche Economico-Agrarie per il Mezzogiorno (Portici) e presso il Centro di Sviluppo dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (O.C.S.E.) di Parigi (1969-1970) e divenuto Professore Ordinario di Politica economica (come si legge dal curriculum pubblicato dall’Università di Messina), annovera tra le proprie pubblicazioni significative Economia assistita da mafia, Rubbettino, 1995; Macroeconomia della mafia, Nis, 1997 (in collaborazione con G. Signorino); Il nodo gordiano. Criminalità economica e Mezzogiorno (in collaborazione con A. La Spina e G. Signorino) Laterza, 1999. L’impatto criminale sulla produttività del settore privato dell’economia. (in collaborazione con Ferdinando Ofria), Giuffrè 2001 (Premio Saraceno, 2002). Un valente studioso, dunque, dei rapporti tra mafia ed economia, un ottimo biglietto da visita oggi per essere nominati assessori nel governo di chi proprio con quella mafia è accusato di essere in rapporti di concorso esterno.
Pazienza, cose di Sicilia (…ops, ho citato proprio un titolo sciasciano) e fin qui si può capire. Dove invece neanche un premio Nobel, per l’economa ovviamente, riuscirebbe a capire è come mai e ancora per quanto tempo si tollererà un fenomeno talmente vergognoso che fa arrossire nel confronto persino quello della Sanità.
D’altronde, la nascita della Formazione Professionale Siciliana non avvenne con i migliori auspici (per i siciliani comuni cittadini) essendo stata voluta alla luce abbagliante di ingenti fondi pubblici e non viceversa. Una vera manna del cielo che ha “sistemato” almeno due generazioni di padri e madri di famiglia, molti dei quali oggi felicemente pensionati.
Ma, soprattutto, una straordinaria ‘macchina’ elettorale che ha contribuito a portare a Sala d’Ercole schiere fitte di deputati di tutte le province: valga per tutti il loro più illustre portabandiera, il ragusano Giuseppe Drago, giunto al rango di Presidente della Regione, oggi nel PID e condannato nel maggio 2009 con sentenza n. 23066 della Corte di Cassazione, sesta sezione penale, a tre anni e all’interdizione dai pubblici uffici (per una durata da stabilire in sede di esecuzione della pena), per essersi appropriato senza produrre rendiconti, dei fondi riservati della Presidenza della Regione.
Chi scrive è stato più di dieci anni fa presidente regionale dell’Associazione Italiana Formatori, AIF, con sede a Milano e al tempo presieduta dal noto editore Franco Angeli (niente a che vedere con la formazione regionale più o meno finanziata) e per diversi anni ha visitato nell’ambito dei programmi CEDEFOP dell’Unione Europea i principali Paesi considerati eccellenza nella formazione. Spesso unico italiano, ha avuto modo di confrontarsi con esponenti di quei Paesi che sarebbero poi entrati nell’Unione a 27, oggi a 26. Ettoni, Lestoni e Cechi erano già allora i più assidui frequentatori di quelle straordinarie esperienze utili a configurare nel proprio Paese ex comunista un sistema complementare a quello scolastico. Un sistema pensato e attuato per dare una prospettiva vera ai giovani che avessero deciso di passare presto ad un mercato del lavoro, co-autore di quei sistemi, se non vero e proprio committente diretto dei corsi e selezionatore dei docenti ritenuti utili.
Durante una visita studio a Oslo, era con noi un giovane funzionario della Regione Piemonte. Diede un contributo molto importante e tornò a casa, come peraltro io stesso, con valigie di documenti e di schemi operativi. Per quanto mi sforzi di ricordarne il nome, non era certamente Ludovico Albert.

 

 


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