Katane H, giudice ordina reintegro dipendenti «Ma la società non rispetta le ordinanze»

Senza stipendio da un anno, nonostante un giudice abbia sancito il loro diritto ad essere reintegrati sul posto di lavoro. È la situazione di una quarantina di dipendenti della Katane Handling, la società che gestisce i servizi di terra all’aeroporto Fontanarossa di Catania. Recentemente venduta dalla Sac al gruppo Gh Italia, l’azienda attraversa un momento complicato: sul nuovo amministratore delegato Vincenzo Grimaldi prende una richiesta di rinvio a giudizio per falso da parte della procura di Cesena; mentre negli ultimi mesi ha perso due importanti clienti nello scalo catanese: Airone, soppressa dopo l’acquisizione di Alitalia da parte di Etihad e Meridiana, che ha tagliato quasi tutti i voli diretti per il Nord.

Una situazione che ha ripercussioni negative anche sui lavoratori. Da un lato c’è l’accordo siglato con i sindacati che prevede la stabilizzazione di 170 stagionali con un contratto da 20 ore a settimana, per cinque giorni per otto mesi all’anno. Dall’altro c’è chi non ci sta. Un’ottantina di dipendenti – per la maggior parte quelli che hanno maturato più anzianità –  trovando ingiusta questa soluzione, hanno deciso di proseguire per via giudiziaria, facendo causa alla Katane. E i giudici del lavoro del tribunale di Catania gli stanno dando ragione. «L’ordinanza che impone alla società di reintegrami è arrivata ad agosto, ma non è ancora stata rispettata – denuncia Salvo (nome di fantasia) – nella mia stessa situazione ci sono una quarantina di persone, padri e madri di famiglia, ormai disperati perché non sappiamo come andare avanti. L’ultimo stipendio risale al settembre del 2013. L’azienda sta prendendo in giro noi e la giustizia».

Nel caso di Salvo, il giudice riconosce che l’azienda aeroportuale nel 2012 ha superato il limite del 15 per cento di lavoratori a tempo determinato sul totale di dipendenti. Non basta, secondo il tribunale, la generica difesa della Katane che, nella contestazione presentata, afferma di non aver mai superato le percentuali previste dalla legge. Servono documenti, prove a supporto di quanto dichiarato, precisa il giudice. Tutti elementi che la società non ha fornito. Inoltre il giudice sottolinea l’urgenza del reintegro, riconoscendo che lo stipendio di Salvo è l’unica fonte di reddito per la sua famiglia, costituito dalla moglie e dai figli minorenni.

Quello che il tribunale non dice, però, è la condizione a cui il lavoratore deve essere reintegrato. Non entra nel merito cioè del tipo di contratto. «A noi non interessano i soldi – spiega Salvo – abbiamo rinunciato a tutte le indennità, chiediamo solo il lavoro, un contratto a tempo indeterminato da dodici mesi a sei ore al giorno. Non un full time, ma nemmeno quello che propone l’azienda, cioè sei mesi a quattro ore al giorno». Una soluzione che sarebbe stata avanzata dalla Katane anche in sede di dibattimento, come forma di conciliazione per evitare di arrivare a una sentenza sfavorevole, come poi è stato. «In quella occasione anche il giudice ha dichiarato quel contratto non proponibile», sottolinea il dipendente.

L’azienda ha quindi chiesto all’avvocato dei lavoratori, Giovanna Trovato, di avanzare una proposta. La richiesta resta quella dei dodici mesi a sei ore al giorno. Rispedita al mittente proprio ieri dalla società. «Dicono che abbiamo cambiato le carte in tavola – conclude Salvo – ma noi non molliamo, anche se della nostra situazione non parla nessuno. Vorrà dire che ci faremo sentire anche con una manifestazione in aeroporto».


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Sono circa 80 i lavoratori della società che gestisce i servizi di terra all'aeroporto etneo che non hanno accettato l'accordo tra azienda e sindacati e hanno proseguito per via giudiziaria. Circa la metà hanno già ottenuto una vittoria. «Siamo padri e madri di famiglia senza stipendio da un anno - spiega uno di loro - non c'interessano i soldi, abbiamo rinunciato alle indennità, chiediamo solo di tornare al nostro posto»

Sono circa 80 i lavoratori della società che gestisce i servizi di terra all'aeroporto etneo che non hanno accettato l'accordo tra azienda e sindacati e hanno proseguito per via giudiziaria. Circa la metà hanno già ottenuto una vittoria. «Siamo padri e madri di famiglia senza stipendio da un anno - spiega uno di loro - non c'interessano i soldi, abbiamo rinunciato alle indennità, chiediamo solo di tornare al nostro posto»

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