Per lavoro serve i drink in uno dei pub più noti della movida etnea. Ma ai clienti preferisce i sorrisi dei bambini incontrati in Kenya e in Tanzania, durante le esperienze da missionaria laica. Un sogno coltivato per anni e che adesso Rossella Garbato, catanese, 43 anni, vorrebbe trasformare in una scelta di vita. Spesso incompresa e con un occhio alle truffe
Rossella, barmaid e volontaria in Africa «Il mio paradiso è stare lì con loro»
«Io non ho avuto una vita facile, ma a quarant’anni, per la prima volta, ho pianto di gioia. Avevo coronato il mio sogno». Andare a fare la missionaria laica in Africa. Rossella Garbato, catanese, ha 43 anni, ma ne dimostra non più di 35. Aspetto esile e modi pacati non riescono ad arginare la passione e la forza che mette nei suoi racconti. Gli stessi elementi che la sostengono nella sua doppia vita: barmaid del noto pub di Catania Perbacco e volontaria nel continente africano. «Io vivo nel mio mondo. Quando sono al locale magari mi diverto, ma dentro mi isolo», racconta. Alla ricerca di quella felicità «che ho trovato solo in mezzo ai bambini africani». Così difficile da spiegare e spesso incompresa. «Mi piace l’avventura, vorrei girare il mondo e sono convinta, sotto sotto, di avere sangue nero nelle mie vene», ride.
Tutto comincia da bambina, studentessa elementare dell’istituto etneo San Giuseppe. «Quando le suore missionarie venivano a raccontare la loro esperienza, io le ascoltavo rapita – racconta – Andare lì era il mio sogno nel cassetto». Rimasto chiuso per tanto tempo, tra un diploma da ragioniera che non faceva per lei, un lavoro da insegnante senza sbocco, un altro da segretaria e un altro ancora in un pub. Tutti in contemporanea. «Poi ho deciso che per i 40 anni avrei realizzato il mio sogno», racconta. Inizia così la ricerca di un’associazione a cui rivolgersi. «C’era chi mi chiedeva quattromila euro per andare a lavorare in Africa otto ore al giorno. Ma se avessi voluto timbrare un cartellino sarei rimasta qui – spiega – Ho continuato a cercare fino a quando non ho trovato nonno Luigi». Il missionario laico Luigi Panzeri che ha fondato l’associazione Amici di Ndugu Zangu, dal nome del villaggio in cui nel tempo ha costruito anche una scuola e un ospedale e dove ospita i volontari. «I contatti li abbiamo tenuti tramite Internet e telefono. Lui mi ha detto soltanto: “All’aeroporto verrà a prenderti uno alto e nero”. Grazie, ho pensato, siamo in Kenya… Ma mi sono fidata».
Lì, «in una comunità in mezzo al nulla», Rossella è rimasta per un mese. «Tu lasci un offerta e loro ti danno vitto e alloggio. Se vuoi puoi anche stare in spiaggia tutto il giorno a prendere il sole e non fare niente», racconta. Ma lei invece ha pitturato i tavoli e le sedie della scuola insieme ai bimbi del posto, ha cucinato pizze e dolci, ha creato un orto, ha rammendato vestiti «fatti con delle pezze che noi non useremmo nemmeno per spolverare», ha pulito strade e villaggi. Imparando a convivere con una cultura così diversa dalla sua. Anche nei piccoli gesti quotidiani. «La prima volta che ho fatto colazione e ho visto che il pane veniva tenuto ad asciugare tra gli insetti ho dato di stomaco, ma poi ti abitui», racconta.
Tornare indietro per Rossella è stata dura. Lì ha lasciato il contenuto delle sue due valigie e un pezzo di cuore. «Mi sono innamorata di un bimbo sfigurato e senza un braccio. Lo porterei con me, ma lì è felice. Qui invece sarebbe additato perché nero e invalido». Comunque diverso dai bambini catanesi, «spesso capricciosi, che sprecano il cibo e che morirebbero qualche giorno senza un pc», spiega Rossella, con un moto di sincero fastidio per un attaccamento al superfluo che non riguarda solo i più piccoli. «Al locale sento spesso i discorsi dei clienti. Per i quali magari è una tragedia non riuscire a comprare un vestito firmato o se si spezza un’unghia appena laccata». Eppure Rossella è riuscita a rendere anche un pub della movida etnea come il Perbacco un luogo dove si cerca di aiutare il prossimo, coinvolgendo colleghi, parenti e amici a lavorare gratuitamente per gli eventi di beneficenza che organizza a Catania.
L’anno dopo Rossella va in Tanzania con un’altra associazione. «Giravamo per i villaggi alla ricerca dei bambini adottati a distanza per portare loro i soldi delle famiglie italiane e questi bimbi non si trovavano. Questa mancanza di trasparenza la trovo ingiusta e capisco chi diffida dal fare del bene che non può vedere». Per questo lei, oggi responsabile per la Sicilia del’associazione Amici di Ndugu Zangu, spiega sempre che i soldi raccolti vanno a finire nella cassa della comunità e non a un bimbo specifico. «Adesso è questo il mio impegno, ma io vorrei vincere una lotteria, comprare un terreno, trasferirmi in Africa e creare una comunità che comprenda anche gli animali. E chi ha bisogno può venire lì», racconta Rossella con lo sguardo sognante. «No, non lo faccio per il paradiso – conclude in maniera spontanea come chi è abituato a dover spiegare le sue scelte – Il mio paradiso è stare lì con loro. Alla fine si tratta di egoismo: io vado in Africa perché lì sto bene».