La Liberazione, il giorno del suo 70esimo anniversario, nei racconti di due dei quattro combattenti catanesi viventi: Santino Serranò e Salvatore Militti. Per il primo, 93enne, ricordo e memoria restano l'antidoto a molti mali. Per il secondo, di un anno più giovane, «la politica ormai è quella che è e non saprei più contro chi si dovrebbe resistere»
25 aprile 2015, la Resistenza ieri e oggi L’eredità in chiaroscuro dei partigiani etnei
«A quel tempo eravamo solo dei giovanotti di vent’anni che non sapevano ancora nulla dei grandi ideali. E oggi il più giovane di noi di anni ne ha novanta». Si lascia commuovere al solo ricordo il partigiano catanese Santino Serranò. Nel 1945 ha combattuto i nazisti a Valeriano Ligure. Da poco, a 93 anni, ha ricevuto la tessera onoraria dell’Anpi, l’associazione nazionale partigiani d’Italia. E ne va fiero. Ma non quanto il ricordo delle battaglie vinte «contro gli invasori e coloro che minacciavano la libertà», racconta. La commozione fa presto spazio alla rabbia quando pensa di aver consegnato il Paese all’ideale e alla prassi della repubblica, «per poi dover assistere al ventennio di Silvio Berlusconi». L’unica medicina, secondo il combattente etneo, è «ascoltare chi ha qualcosa da dire, farsi raccontare quello che è successo quando la società stava male». Un antidoto non sempre universale. Non condiviso, ad esempio, da un altro compagno di lotte, il catanese Salvatore Militti, 92 anni, ormai disilluso.
«Siamo tutti ormai molto vecchi. Una volta ci incontravamo spesso, partecipavamo ai raduni, ma oggi – continua Serranò -, al massimo ci telefoniamo ogni tanto e ci lasciamo andare alla memoria che è quella che è», racconta Serranò, parlando dei suoi compagni. Dei venticinque partigiani catanesi solo quattro sono ancora in vita. Un bilancio aggravato dalla notizia – proprio la mattina del 25 aprile – della morte di Antonino Mangano, in battaglia conosciuto come Mitraglia, combattente della 31esima brigata Garibaldi. I funerali sono previsti a Fiumefreddo, domani alle 15.30. «È sempre stato un testimone di quei fatti, ci ha dato col suo impegno e il ricordo una lezione di vita», commenta Santina Sconza, presidente dell’Anpi catanese.
E anche il partigiano Serranò è sempre impegnato a raccontare la storia della Resistenza ai suoi nipoti, dopo averlo già fatto con i suoi figli e «con tutti coloro che hanno voglia di sapere cos’è stato quel periodo per uno che l’ha vissuto e combattuto, rischiando il tutto per tutto», spiega. Anche perché «ancora oggi c’è gente che parla dei partigiani come se fossero ladri, banditi o usurpatori», si arrabbia di nuovo Serranò. Per tornare alla calma e alla soddisfazione quando ricorda il momento in cui divenne un giovane partigiano.
«Facevo il marinaio in Liguria, nella città di Vezzano, e diedi uno schiaffo a un fascista che mi denigrò per il solo fatto di essere siciliano. Venni denunciato immediatamente e, nonostante i miei familiari mi avessero consigliato di scappare in Germania, decisi di avventurarmi per le montagne», racconta Serranò. Che lì incontra altri venti coetanei in armi contro «coloro che bruciavano le città». I giovani soldati della Resistenza mangiavano poco e solo quello che alcuni connazionali, rischiando ritorsioni e denunce, facevano loro arrivare attraverso canali più o meno sicuri. Sentivano freddo, ascoltavano ogni tanto le notizie che riuscivano a ottenere e organizzavano gli assalti alle camionette dei fascisti e dei nazisti. «L’ultimo ricordo che conservo di quel periodo è l’imboscata che tendemmo a quattro tedeschi. Li raggiungemmo di soppiatto e iniziò una battaglia incredibile che portò uno di loro a ferirsi», racconta Serranò.
Che proprio perché la guerra l’ha vissuta non la sostiene. E predilige ancora una volta la medicina della memoria e del ricordo. «Uno dei momenti più belli è stato quando mia nipote mi ha intervistato lungamente sulla mia vita, sul modo in cui sono diventato partigiano e su quello che provavo all’epoca», racconta. «Sono queste le cose che rimarranno anche quando l’ultimo partigiano non ci sarà più», conclude Serranò. Ma la sua medicina non sembra valere per tutti. Ha un altro trascorso il partigiano catanese Salvatore Militti e forse meno speranza nella missione della memoria. «Nessuno della mia famiglia mi chiede mai di raccontargli la mia esperienza di combattente della Resistenza e – continua -, per me sarebbe comunque molto difficile perché ho visto troppe cose». La Resistenza per lui si è chiusa con la Liberazione, perché «la politica ormai è quella che è e non saprei più contro chi si dovrebbe resistere».