Scuola, in Sicilia tempo pieno solo per un bimbo su 10 «Due anni in meno di studio e la metà delle cattedre»

Meno di un bambino su dieci in Sicilia può usufruire del tempo pieno nella scuola primaria. Un dato, l’8 per cento, che colloca l’Isola in fondo alla classifica nazionale. Ben al di sotto del 40 per cento dell’Emilia Romagna o del 48 della Lombardia. Ma parecchio lontano anche dalla media nazionale del 29 per cento. Questione di numeri? Assolutamente no, considerato che dietro quelle cifre si nascondono centinaia di ore di studio in meno per gli alunni, e meno cattedre per gli insegnanti. «Per garantire il tempo pieno – fa i conti Graziamaria Pistorino, segretaria regionale della Flc Cgil – in linea di massima serve il doppio dell’organico». Non poco, in un momento in cui la scuola italiana, a seguito della riforma del governo Renzi, si arrovella ancora sulle modalità di selezione dei prof e sulla loro mobilità interna, o, come definita dai più critici il loro «esodo». 

«La scuola primaria – spiega Pistorino – ha una durata di cinque anni. In Sicilia funziona con un orario settimanale di 27 ore, mentre in altre parti del Paese, con il tempo pieno, funziona con orario di 40 ore settimanali. Su 33 settimane all’anno di scuola, il minore siciliano frequenta 429 ore di scuola in meno per ciascun anno scolastico. Per un totale, nei cinque anni, di 2.145 ore in meno: quasi due anni scolastici in meno rispetto ad un coetaneo che vive in un’altra regione». 

Entrando nel dettaglio delle varie province dell’Isola, sulla base dei dati forniti dall’ufficio scolastico regionale per l’anno 2016/17, la situazione peggiore si registra a Ragusa, dove appena 14 classi su 758 (cioè l’1,85 per cento) fanno il temo pieno. Percentuale che sale di pochi punti nelle province di Trapani (5,18 per cento), Palermo (5,68), Agrigento (6,75) e Catania (7,02). Segue Siracusa, col 9,49 per cento. Mentre solo tre province raggiungono la doppia cifra: Messina con il 13,45; Caltanissetta con il 16,30 ed Enna col 20,49. La situazione migliore siciliana è comunque inferiore alla media nazionale. 

Eppure all’asilo lo scenario è decisamente migliore. Nella provincia di Ragusa, fanalino di coda per le elementari, il tempo pieno è presente nel 97 per cento delle sezioni della scuola dell’infanzia. E ci si avvicina al cento per cento anche a Siracusa (98) ed Enna (99). Percentuali molto alte anche a Caltanissetta (88), Messina (80) e Agrigento (77). Meno bene Trapani (58 per cento). Mentre scarseggia il servizio nel Catanese (36 per cento delle classi) e nel Palermitano (33). Perché, dunque, dalla prima elementare i bambini siciliani sono costretti a un trattamento di serie B?

«Rovesciamo la domanda – denuncia Pistorino – come potrebbe funzionare il tempo pieno senza, ad esempio, i collaboratori scolastici?». Pochi giorni fa il ministero dell’Istruzione ha diffuso i dati sul personale Ata aggiuntivo – assistenti tecnici, amministrativi e collaboratori scolastici – assegnato alle varie regioni. Alla Sicilia sono toccati 403 posti, a fronte di una complessiva richiesta di 1.069 unità. «Così le parole di cui la politica si riempie la bocca, e cioè scuole aperte al pomeriggio, dematerializzazione amministrativa, didattica per laboratori, rimangono solo annunci», sottolinea la segretaria Cgil.

Altro nodo dolente è rappresentato dal servizio mensa e da quello trasporti, senza i quali la legge non consente ai presidi nemmeno di chiedere l’apertura delle scuole nel pomeriggio. Con la riduzione dei trasferimenti agli enti locali, spesso i Comuni scelgono di ridurre o eliminare proprio queste spese. Come successo quest’anno, ad esempio, a Marsala e a Messina. Secondo la Cgil il problema sta non solo nella quantità di finanziamenti che lo Stato gira agli enti, ma anche nella loro qualità. «I fondi per garantire il tempo pieno – precisa la segretaria siciliana – non possono rientrare in un calderone di voci che riguardano diverse spese sociali. Piuttosto il Miur dovrebbe esigere un capitolo di spesa vincolato per i servizi alle scuole. Forse così da Torino a Pantelleria, tutti gli studenti italiani potrebbero usufruire dei medesimi servizi?». 

Il sindacato sottolinea come, dando reali pari opportunità ai bambini delle elementari, da un lato «si combatterebbe davvero la dispersione scolastica», e dall’altro i posti da assegnare per gli insegnanti si moltiplicherebbero. «Altro che assegnazioni provvisorie per il sostegno! Ci sarebbe da fare assegnazioni provvisorie per tutte le cattedre», continua Pistorino. Il riferimento è al recente accordo tra sigle sindacali e ufficio scolastico siciliano per cui dei 4.606 posti in deroga di sostegno, metà verranno coperti da precari forniti di titolo per il sostegno, mentre la restante metà andrà in assegnazione provvisoria ai prof trasferiti al Nord (perché assunti durante la fase B prevista dalla riforma), pur avendo l’abilitazione per altre materie. Un modo per ridurre l’esodo degli insegnanti dalla Sicilia alle regione settentrionali. 

«Gli analisti – conclude la segretaria Cgil – dovrebbero attrezzarsi a comprendere che questo Paese, tutto il Paese, ha bisogno di leggi giuste, di equità e di una sostanziale capacità di distribuzione delle risorse che non deve essere “far parti uguali tra disuguali”, ma che ha bisogno di investimenti, di rilancio del tessuto economico e sociale del Sud, in modo da evitare non solo l’esodo degli insegnanti, ma anche quello di migliaia di studenti e famiglie».


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