Appoggiato ad un tavolo che sembra una enorme scacchiera, con un sole che pensavamo non arrivasse più, Michele Rech, in arte Zerocalcare, ci racconta l’arte, le occupazioni, l’armadillo e «Dimentica Il Mio Nome», l’ultima e fortunata opera che oggi ha presentato al Teatro Mediterraneo Occupato.
David Bowie, Pixies e Florence & The Machine rendono l’ambiente più surreale. Michele è a suo agio nonostante il baccano di decine di allievi della Scuola del Fumetto. La febbre a trentanove non gli ha impedito di raggiungere Palermo, una città che racconta e conosce attraverso i luoghi delle lotte sociali e della cultura di strada, la Vucciria, i teatri occupati e l’Hotel Patria, dove alloggerà.
Del resto, Zerocalcare nasce nei luoghi occupati ed è anche per quei luoghi che nasce la sua produzione. Nell’ottica di una restituzione degli spazi abbandonati alle mani e alle idee di chi è in grado di farli vivere e di sottrazione, invece, a chi li guarda solo morire.
«Oggi – spiega l’artista – chi fa cultura spesso è fagocitato da un sistema che guarda alle forme d’arte come a un hobby per ricchi e che impone al cittadino di trovare un lavoro vero, togliendo tempo all’arte».
Al netto delle recenti polemiche che lo hanno visto protagonista di botta e risposta al vetriolo sul web (con Romafaschifo, tra gli altri), di politica non vuole parlare: «La politica non la fa il singolo, si fa in collettivo, per questo nel blog preferisco raccontare il quotidiano, quei fatti che competono solo il mio privato». Un intimo racconto di sofferenze, storie familiari e crescita emotiva che il fumettista mette nero – e grigio – su bianco sulle pagine di Dimentica il Mio Nome, un libro in cui il passaggio dall’adolescenza all’età adulta si legge in ogni parola e in ogni chiaroscuro.
«Il fumetto è un linguaggio accessibile, attraverso il quale si può raccontare ogni cosa, anzi, apre spazi che alla parola sono preclusi. Che ben venga un fumetto che parli di mafia se serve ad aprire le menti dei giovanissimi». Michele si dice «fortunato di questa fortuna» anche se avrebbe voluto diventare paleontologo. Ma è pigro, quindi disegna le cose che gli capitano.
I ragazzi del Teatro Mediterraneo, frattanto, predispongono la sala per la conferenza stampa. «La situazione qui è in stallo» – ci racconta uno dei portavoce. «Ufficialmente siamo ancora in sgombero anche se l’intera area nord del complesso non fa parte del progetto della Fiera del Mediterraneo, quindi anche il Teatro, una volta sgomberato, tornerebbe al degrado».
In queste stanze l’abbandono si combatte ogni giorno con forza di volontà e fiducia, contro il vandalismo e le intromissioni. Un impegno portato avanti a costo zero. I ragazzi si prendono cura di uno dei padiglioni del complesso della Fiera organizzando spettacoli, eventi e laboratori. «Lavoriamo verso un potenziamento delle attività produttive, cercando di andare incontro al muro di gomma delle istituzioni. La cultura è sottovalutata come attività produttiva».
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