Voci (e lingue) del verbo imparare

“Una didattica attenta e moderna fondata su accoglienza, integrazione, intercultura, pluralità, continuità, flessibilità, recupero e approfondimento”. Ecco cosa si legge sulla prima pagina della brochure informativa del circolo didattico “Gioacchino Biscari” di Catania, circolo che negli anni si è saputo distinguere per la capacità d’accoglienza e integrazione. Sì, perché quando si sono chiesti se la diversità fosse un valore aggiunto o portasse alla disgregazione della singole identità, gli insegnanti, il dirigente scolastico e tutto il personale della scuola di via Enrico Pantano hanno scelto la prima risposta. Qui credono che l’eterogeneità – che non significa solo avere un colore di pelle diversa, ma anche differenza culturale, sociale, di razza, di religione – sia sinonimo d’arricchimento.

“Il segreto è l’accoglienza” ripetono un po’ tutti. Sono ormai abituati. Già dagli anni novanta, infatti, questo circolo ospita bimbi stranieri, che negli anni sono aumentati sempre più accrescendo anche il numero delle nazionalità presenti. Adesso sono ben 72 su 396, da due a 7 per classe, anche se probabilmente sarebbe più opportuno parlare di “bambini con una cittadinanza straniera”, perché molti, moltissimi di questi piccoli (20 su 22 alla materna e 35 su 50 alle elementari) sono nati in Italia, quindi rappresentano la cosiddetta seconda generazione di immigrati.
Il modello d’integrazione Biscari sembra proprio ben organizzato. La didattica si svolge dal lunedì al venerdì, mentre il sabato si organizzano dei corsi aggiuntivi soprattutto d’italiano. Corsi che, come ci racconta la maestra Francesca Stella che li tiene, “non sono frequentati solo da stranieri. Ci sono stati dei catanesi doc che mi hanno chiesto di partecipare nonostante non avessero la pelle colorata”. Ma ci sono anche corsi ambientali, di musica, d’informatica, francese e tanti altri.
Conosciamo più da vicino il metodo Biscari, con qualche domanda a Anna Maria Nicosia, dirigente scolastico e alla maestra Stella.
 
Come pianificate le classi e i corsi?
Nicosia: Nel momento in cui formiamo le sezioni dividiamo i bambini in modo che tutte le classi siano equilibrate e etrogenee, proprio per il principio che l’integrazione è possibile nella diversità. Quindi da noi italiani, stranieri, diversamente abili, ricchi e poveri stanno tutti insieme. Inoltre, dato che siamo stati riconosciuti come un’area con un forte processo immigratorio, il Ministero, di anno in anno, manda un fondo aggiuntivo che utilizziamo per realizzare corsi extracurriculari, tra cui anche un corso d’italiano per alunni extracomunitari.
 
A questi corsi accedono tutti i bambini stranieri, oppure prima si fa un test di lingua per vedere chi ne ha bisogno e chi no?
Stella: La questione non è il parlato, che viene da sé perché si fa di necessità virtù e poi i bambini hanno delle risorse straordianarie. Ma se andiamo allo scritto, alla lettura, non ci siamo. Una bimba, ad esempio, che viene dall’Olanda, sembrerebbe ottima, precisa, pulita, ma siccome continua a parlare lo spagnolo (ha la madre colombiana) e il belga in casa, si confonde. E allora la frequenza al corso viene da sé. Non c’è più un rapporto di classe, ma è diretto. Si usa la musica, il computer, la lettura, l’ascolto, la produzione, ci si siede a terra. Tutto è fatto in modo dinamico.
 
Con i bambini stranieri in classe, è cambiato qualcosa nell’insegnamento quotidiano?
Stella: A dire il vero non ho cambiato granché. Sono loro stessi che a volte hanno una maggior volontà rivolta all’apprendimento, al perfezionamento, nei giochi linguistici rispetto ai bimbi catanesi. Ci sono i cinesi che hanno un’ambizione incredibile, stanno tutto il tempo a dire “facciamo questo, facciamo quell’altro, accendiamo internet”. Ma come programmazione, come tempi, personalmente non ho cambiato nulla.
 
Ma poi alla fine c’è una sorta d’interscambio, no? Tutti imparano qualche parola delle lingue degli altri.
Stella: Certo, anche noi maestre. L’accoglienza è alla base di tutto. Accogliere i bambini vuol dire non farli sentire diversi e allora non sono solo loro che devono venire incontro a noi. Deve avvenire anche e soprattutto il contrario. Quando è arrivato un bimbo russo ho preso da internet dei vocaboli della sua lingua, così che sentisse anche dagli altri bambini parole a lui conosciute. E così si è sentito accolto. Oggi mi ha fatto un dettato con i digrammi e i trigrammi che per qualcuno possono essere una cosa enorme e lui li ha già acquisiti. Quelli che hanno un po’ più di difficoltà sono i cinesi perché magari stanno un anno o due e poi se ne vanno e poi ancora ritornano, quindi nella mente di questi bambini si crea confusione.
 
Il rapporto coi genitori? Ci sono differenze tra italiani e stranieri?
Nicosia: Forse i cinesi sono un po’ più chiusi, però quando accompagnano o vengono a prendere i bambini chiedono spesso com’è andata… Chiaramente all’atto dell’iscrizione i genitori extracomunitari impiegano molto più tempo perché anche loro non conoscono la lingua italiana. Quindi interloquire, spiegare l’organizzazione della scuola è decisamente più difficile. Con i cinesi, comunque, ho potuto constatare che, rispetto agli altri che rispettano inizio e fine dell’anno scolastico, anche per i trasferimenti, loro arrivano e partono con i loro tempi. Comunque, tengono in modo particolare che i bambini imparino l’italiano. Per questo chiedono subito l’iscrizione.
 
L’inserimento nelle classi in base a cosa viene fatta, a quel punto?
Nicosia: In base al titolo che loro portano coi i timbri dei loro consolati. Poi in base ai documenti si vede l’età del bambino e cerchiamo quanto più possibile di metterlo in una età corrispondente.
Perché anche quello è un problema. Non si può creare un divario eccessivo, anche perché noi sfruttiamo molto il discorso del coetaneo per imparare meglio e più velocemente. Ecco perché non siamo per le classi ponte.
 
Qual è la prima reazione dei ragazzini quando vedono arrivare un compagno nuovo, magari con gli occhi a mandorla?
Stella: Per loro è normale, anzi è una festa. Non guardano alla diversità, semplicemente hanno curiosità verso il nuovo compagno. E poi usano le piccole cose, parole di benvenuto, feste per stare insieme. Qualche anno fa abbiamo organizzato la festa di carnevale a tema con tutti i vestiti tipici, o anche una sorta di scambio culinario in cui ogni famiglia ha cucinato un piatto tipico del proprio paese.
 
Problemi culturali, come la religione? Gli stranieri come si pongono?
Nicosia: Chiaramente chi pratica la religione musulmane, e indu, e in genere anche i cinesi, non scelgono di avvalersi della religione cattolica. Ma guarda caso quando c’è l’ora di religione i bambini non vogliono uscire dalla classe. Con i musulmani non ci sono troppi problemi. L’unica cosa a cui non partecipano sono cose espressamente cattoliche, come i canti di Natale nella recita natalizia. In quel caso, però, la partecipazione avverrà attraverso poesie sulla pace, ad esempio.
 
E con il crocefisso appeso alla parete avete avuto dei problemi?
Stella: Tempo fa ho chiesto un confronto con i genitori, perché scuola e genitori prendessero una decisione comune al riguardo. E sa che è successo? Che uno dei genitori, Imam della zona, da cui ci aspettavamo proposte alternative, ha invece detto di essere ospite di questo paese e un ospite non decide a casa degli altri. I genitori italiani, invece, erano quelli che lo consideravano quasi un’offesa per i ragazzini di altra religione. Il crocefisso è rimasto appeso al suo chiodo.


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