L'ordinanza di applicazione della misura cautelare nei confronti dell'imprenditore agricolo ripercorre le denunce dei suoi dipendenti e gli accertamenti della polizia. Le differenze nella replica del legale si concentrano soprattutto nel secondo giorno dei fatti, quello in cui si sarebbe consumato il sequestro
Vittoria, i presunti pestaggi del consigliere Dezio Divergenze tra ricostruzione giudice e della difesa
Gli arresti domiciliari a carico dell’imprenditore agricolo e consigliere comunale Rosario Dezio stanno spaccando la città di Vittoria. Divisa tra innocentisti, che non credono alle accuse o forniscono attenuanti al gesto, e colpevolisti, che chiedono una condanna esemplare nonostante si tratti ancora di indagini preliminari. Sullo sfondo c’è una città finita tante volte nel mirino delle forze dell’ordine per indagini sul caporalato e lo sfruttamento del lavoro. Ma dove gli imprenditori agricoli replicano parlano di di soprusi, ripetuti furti e minacce da parte degli stessi dipendenti. La vicenda Dezio sembra essere diventata il simbolo di questa integrazione a tratti mancata tra la comunità vittoriese e quella romena, nazionalità tra le più presenti nel mondo dei braccianti.
Dezio è accusato di maltrattamenti e lesioni nei confronti di due suoi lavoratori e di un terzo connazionale – il più grave ha avuto una prognosi iniziale di un mese, poi prolungata dai medici a 45 giorni – e sequestro di persona. Tutto sarebbe accaduto tra il 13 e il 15 febbraio nell’azienda agricola di contrada Gaspanella di proprietà della famiglia Dezio. Ma la ricostruzione fatta dalla polizia e quella fornita dalla difesa dell’indagato differiscono in molti aspetti.
Maggiori dettagli sulla vicenda emergono dall’ordinanza di applicazione della misura cautelare emessa dal giudice per le indagini preliminari, che ripercorre sia la denuncia fatta dal dipendente, che gli accertamenti degli agenti. La ricostruzione inizia dalla notte del 13 febbraio, quando i due dipendenti vengono sorpresi da Dezio a rubare alcune bombole di gas. I diretti interessati ammettono agli inquirenti di essere stati colti in flagranza del furto, ma denunciano di essere stati colpiti «con il calcio di un fucile e con una spranga di ferro». Dezio inoltre, ricostruisce l’ordinanza, «esplodeva alcune cartucce e minacciava di uccidere i due rumeni».
Secondo l’avvocato del consigliere comunale, Giuseppe Russotto, si sarebbe trattato solo della reazione – «non giustificata, né giustificabile ma certamente comprensibile» – di un uomo stanco di soprusi, furti, minacce e angherie. E sottolinea che a fine gennaio l’azienda sarebbe stata pesantemente danneggiata da una gelata a causa della mancanza di nafta nelle stufe. Il furto della notte del 13 quindi, stando alla ricostruzione della difesa, sarebbe stato solo uno dei tanti subiti da Dezio. Il legale dice che sono stati «regolarmente denunciati senza alcun esito», nonostante le foto e i video disponibili, e rimarcando che nel comunicato stampa diramato dalle forze dell’ordine di ciò non si fa menzione.
Le divergenze nelle due ricostruzioni diventano ancora più marcate rispetto ai fatti del giorno successivo, il 14 febbraio. Nell’ordinanza del gip si spiega che Dezio «rintraccia i due soggetti presso l’abitazione di uno di loro», cioè «un casolare nei pressi del campo di calcetto in via Acate». Insieme ai due dipendenti c’è anche il terzo connazionale. Qui «tutti e tre vengono presi a bastonate da Dezio», continua la ricostruzione degli inquirenti. Ma le violenze sarebbero continuate nell’azienda di Dezio. I due dipendenti sarebbero stati infatti costretti dal consigliere comunale e dal cognato, a salire a bordo del loro mezzo e condotti nella sede dell’impresa. L’avvocato replica che avrebbero soltanto detto ai rumeni di andare insieme in azienda per un confronto così da capire «chi rubava e chi no».
«Qui – si legge nel provvedimento che applica i domiciliari – uno dei dipendenti veniva picchiato selvaggiamente da Dezio, dopo essere stato condotto fino al garage, preso a calci e pugni, legato mani e piedi con una lunga corda, appeso a una barra di ferro, e colpito con calci alle costole, alle caviglie e ai gomiti. Al momento dell’aggressione – precisa il giudice – erano presenti anche il padre e il cognato di Dezio, che rimanevano inermi». Il giorno dopo, il 15 febbraio, la polizia trova nella sede della ditta delle corde, ritenute quelle con cui uno dei dipendenti è stato legato. Fatti negati integralmente dalla difesa di Dezio. Per l’avvocato Russotto, uno dei dipendenti quella mattina avrebbe minacciato l’imprenditore, facendogli capire che non si poteva «permettere il lusso di licenziarlo perché protetto da una organizzazione di rumeni». Il legale esclude poi che sia stato usato alcun bastone né che ci sia stato alcun sequestro e, di conseguenza, sarebbero immotivate anche le denunce a carico dei familiari di Dezio. E infine che le corde trovate sarebbero semplicemente quelle usate in azienda per il confezionamento dei prodotti.
Tuttavia, le dichiarazioni date agli inquirenti da Dezio vengono ritenute dal giudice «inattendibili e poco convincenti, ma soprattutto chiaramente antitetiche a quanto dichiarato dalle persone offese e quanto corroborato dai referti medici e dai riscontri effettuati dagli agenti». Sono soprattutto i referti medici che «comprovano la gravità delle lesioni ai cittadini romeni e la piena compatibilità con il loro racconto». Il giudice conclude quindi definendo Dezio come una «personalità violenta e prorompente» e motivando la misura cautelare con la necessità di evitare il pericolo di recidiva e l’inquinamento probatorio.
A questo punto tutto passa nelle mani della magistratura, chiamata a districare una matassa molto ingarbugliata, mentre intanto il segretario del Partito democratico di Vittoria, Lorenzo Scuderi, ha fatto sapere che per le dimissioni di Dezio da consigliere e componente della segreteria del partito è ormai solo questione di ore.