Via Savagnone, la paura degli inquilini prossimi allo sgombero «Orlando ci incontri prima di buttare 13 famiglie sulla strada»

In via Savagnone due giorni dopo lo sgombero c’è un silenzio irreale. Il grosso stabile, teatro dell’aggressione a Stefania Petyx, adesso ha le porte murate con dei blocchi di tufo siciliano. Il cemento è ancora fresco e un’auto della polizia municipale presidia in maniera permanente la struttura per evitare che qualcuno, magari una delle tre famiglie che fino a mercoledì lo abitavano, torni e butti giù le nuove costruzioni. La calma però è solo apparente, basta attraversare la strada verso il civico numero 8 per sentire un vociare frenetico provenire dall’interno del palazzo. Lì dove prima c’erano degli uffici comunali adesso vivono tredici famiglie, con 27 bambini e quattro donne incinte. Anche loro hanno occupato in maniera abusiva: hanno diviso gli appartamenti, portato acqua e corrente elettrica laddove mancava, creato nuovi bagni, reso un palazzo in stato d’abbandono un vero e proprio condominio, con tanto di cartelli affissi sul portone d’ingresso per invitare i residenti a tenere pulito, non buttare mozziconi di sigaretta nella scala, non dimenticare il portone aperto.

«Si sta provvedendo all’esecuzione dello sgombero dell’immobile di via Savagnone, 8 (si concorderà con la Questura e la polizia municipale la data di inizio delle operazioni che si prevede possano avvenire tra il 22 e il 23 p.v.)». Così si conclude un comunicato stampa rilasciato ieri sera dal Comune di Palermo. Ed è proprio dalla stampa che gli abitanti del palazzo sono venuti a conoscenza del fatto che potrebbero avere poco più di 48 ore per portare via tutto: mobili, arredi, effetti personali e trovare una nuova casa. Eppure la loro battaglia legale gli inquilini di via Savagnone 8, l’hanno anche intrapresa, con un ricorso al Tar che si pronuncerà l’8 novembre

Il palazzo è protetto da un cancello di ferro a cui qualcuno degli inquilini ha anche appeso un’immaginetta sacra legata con un piccolo laccio bianco. Quando si apre sono in tanti a venire fuori, accompagnati da un piccolo stuolo di bambini. Da giorni vivevano con la paura dello sgombero, ma adesso i loro timori sembrano essere diventati realtà. Tutti vogliono parlare e nonostante la tensione i loro modi sono gentili. «Avrebbero almeno potuto aspettare il Tar» dice una donna e in molti le fanno eco. La confusione è tanta, qualcuno propone di protestare al Comune, altri direttamente dal sindaco. La loro recriminazione più grande è quella di essere stati abbandonati. «Qui non è mai venuto nessuno delle istituzioni – dicono – Nessuno è mai venuto a vedere in che condizioni viviamo o ci ha chiesto perché abbiamo occupato. Siamo brave persone, ci piacerebbe parlare con Orlando per spiegargli le nostre ragioni». 

Intanto la piccola folla aumenta, rientrano alcuni uomini e qualche bambino torna da scuola. Tra questi ce n’è uno che porta con sé uno sgabello metallico ridotto piuttosto male e lo adagia sul cassone di una motoape parcheggiata a pochi passi dall’ingresso. «Vede? – dice un giovane inquilino – Qui ci diamo tutti una mano. Io raccolgo i metalli in giro e poi li vado a rivendere. Loro lo sanno e se trovano qualcosa me la portano. Facciamo di tutto per non fare mancare niente ai nostri figli: quaderni, cose per la scuola, ma con 80 euro a settimana, quando ci sono, come potrei permettermi un affitto?». «Qui funziona così – aggiunge un uomo sui 40 anni, padre di due bambini – se ho una cipolla in più la dò al mio vicino, se non ho una bottiglia d’acqua trovo sempre qualcuno che me la dà». Ma la notizia che ancora più dell’imminente sgombero sconvolge le famiglie la dà una donna, dopo avere parlato al telefono con una funzionaria del Comune.

«Ho appena parlato con la signora Lo Sicco – spiega – Dice che per i bambini ci sono le case famiglia». E in casa famiglia insieme ai minori possono restare solo le mamme. «E mio marito? – continua – Deve dormire per strada?». «Mia figlia è un’anima e un corpo con suo papà – dice un’altra donna – come glielo spiego?». E tra le tante voci c’è anche quella di una giovane donna, suo marito è in carcere e lei vive da sola in un appartamento insieme alla figlia: «Ogni tanto mi capita di prendere qualcosa tra le cose che la gente butta e di portarla a Ballarò – dice – e non me ne vergogno. Tutti facciamo il possibile per tirare a campare e non vedo perché i nostri figli debbano valere meno di quelli degli altri. So cosa è successo qui di fronte a Stefania Petyx, l’uomo che l’ha aggredita è stato un verme, le donne non si toccano, ma perché dobbiamo essere noi a pagare? Ci siamo scusati con lei, anche se non c’entravamo niente con quanto accaduto. Se avesse bussato al nostro di portone non solo le avremmo aperto le case, le avremmo aperto il nostro cuore».

«Sappiamo che quello che abbiamo fatto non è legale – conclude ancora il giovane che recupera i metalli – Ma non abbiamo tolto la casa a chi ne aveva bisogno, non lo avremmo mai fatto. Domani porterò i bambini dai nonni, anche se vivono in un appartamento piccolissimo, non voglio che vedano le scene con la polizia e la gente che va via di casa. Abbiamo faticato tanto per rendere questi appartamenti dignitosi, adesso tutti hanno una cucina e un bagno. Qualcuno li ha anche abbelliti con quadri e altri oggetti recuperati per pochi spicci a Ballarò, sono le nostre case e siamo pure disposti ad andare via, se necessario, ma devono darci un’alternativa: un bene confiscato, una struttura che non serve a nessuno o al limite ci mettano nelle condizioni di poter trovare lavoro e poterci permettere una casa. E poi, mi chiedo, vogliono buttarci fuori per fare cosa, alzare un muro davanti all’ingresso anche qui e lasciare che il palazzo rimanga abbandonato per chissà quanto tempo? Spero davvero che Orlando voglia parlare con noi». 


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