Il corpo senza vita di Samuele Pezzino rimane sull’asfalto l’1 luglio 2008, alle 5.45. In via Plebiscito, non lontano dall’ingresso dell’ospedale Vittorio Emanuele. Il ragazzo avrebbe compiuto 21 anni poche settimane dopo, a settembre. Il suo scooter, un Honda Sh 300, giace in terra a pochi metri, quasi distrutto. Quando l’incidente si verifica, Pezzino proviene da via Osservatorio e intende proseguire verso via Carlo Forlanini. Ma qualcosa gli fa perdere l’equilibrio, facendolo finire prima nella corsia di marcia opposta, poi contro un paletto in metallo, sradicato dall’impatto, infine contro un albero. Muore sul colpo per le gravissime ferite riportate alla testa e alla schiena. Ma sulla dinamica del sinistro si addensano dubbi.
Poche ore dopo, in camera mortuaria, un uomo senza fissa dimora avvicina i genitori del giovane – venditori ambulanti – e racconta loro di aver visto un’automobile con a bordo una donna uscire da un parcheggio in retromarcia. Secondo questa versione, Samuele avrebbe sterzato all’improvviso per evitare di colpire il veicolo. Una sterzata che gli avrebbe fatto perdere il controllo dello scooter. Il testimone, un 33enne di origini palermitane, fa mettere a verbale il suo racconto il giorno stesso, alle 9.20, dalla polizia municipale. Un documento di cui MeridioNews è in possesso.
All’ufficio Infortunistica di via Veniero, il clochard ribadisce, stavolta nero su bianco, che Pezzino «al fine di evitare una Lancia Y di colore celeste, la cui conducente si immetteva nel flusso di circolazione in retromarcia, si vedeva costretto a deviare verso la sua sinistra». Ai vigili che trascrivono, l’uomo consegna anche un numero di targa che dice di aver memorizzato. Ma un primo, semplice riscontro fa emergere che quella targa appartiene a una Citroen Saxo di una persona che vive a Cantù. Prima di lasciare l’ufficio, il testimone aggiunge che la donna sarebbe prima scesa dall’auto, e subito dopo risalita e corsa via su suggerimento di altre persone presenti sul posto dell’incidente. Altra tesi mai dimostrata.
Il fatto che il numero di targa fosse errato non scoraggia il senza fissa dimora palermitano. Sette giorni dopo l’uomo è convinto di aver riconosciuto la donna, a suo dire una dipendente del Vittorio Emanuele. Su di lei la polizia municipale effettua alcune verifiche. Le carte però la scagionano. Aveva posseduto una Lancia Y, ma le era stata rubata due anni prima, con regolare denuncia. Secondo i tabulati delle timbrature dell’ospedale, la donna non era in servizio l’1 luglio, e nemmeno il giorno prima. Il 27 settembre del 2008 Giovanni Pezzino e Agata Pappalardo sporgono denuncia alla procura della Repubblica di Catania, basandosi soprattutto sulla testimonianza del 33enne. Che tuttavia, poche settimane dopo, svanisce nel nulla, senza lasciare alcuna traccia di sé.
La sostituta procuratrice Alessia Minicò apre un fascicolo d’indagine contro ignoti. Sarà la stessa magistrata, il 23 marzo 2009, a chiederne l’archiviazione al gip, in presenza di una relazione dei vigili urbani che esclude ogni responsabilità in capo alla donna indicata dal testimone. E secondo cui il sinistro è avvenuto «probabilmente a causa della turbativa creata da un veicolo in manovra e dalla velocità non particolarmente moderata». Nemmeno le immagini di una telecamera di video sorveglianza avevano fornito elementi ritenuti utili. Frattanto la madre di Samuele non si arrende. Continua a lanciare appelli sui quotidiani locali. Ma nessuno si presenterà mai a fornire informazioni o altri dettagli.
Agata Pappalardo non si è arresa nemmeno oggi, a quasi nove anni dall’evento che cambiò la sua vita e quella della sua famiglia. «Vorrei solo conoscere la verità – dice a MeridioNews – non mi interessa un colpevole a caso. Io voglio solo la verità e giustizia per quello che è successo a Samuele».
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