Dopo vent'anni dalla morte di paolo borsellino una lettera fa luce sul depistaggio delle indagini sulla strage di via d'amelio e sul falso racconto del pentito vincenzo scarantino. Una lettera resa pubblica da manfredi borsellino (il figlio del giudice ucciso insieme con la sua scorta il 19 luglio del 1992) ieri, a palermo, presso la libreria feltrinelli, durante la presentazione del nuovo libro di enrico deaglio "il vile agguato" (feltrinelli).
Via d’Amelio, la ‘verità’ di Vincenzo Scarantino
Dopo vent’anni dalla morte di Paolo Borsellino una lettera fa luce sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio e sul falso racconto del pentito Vincenzo Scarantino. Una lettera resa pubblica da Manfredi Borsellino (il figlio del giudice ucciso insieme con la sua scorta il 19 luglio del 1992) ieri, a palermo, presso la libreria Feltrinelli, durante la presentazione del nuovo libro di Enrico Deaglio “Il vile agguato” (Feltrinelli).
“Una lettera inviata a mia mamma – dice Manfredi – da Vincenzo Scarantino in persona, con la quale ci porge le sue scuse”.
Scarantino comincia a collaborare il 24 giugno del 1994, autoaccusandosi del furto della Fiat 126 utilizzata come autobomba per l’attentato di via D’Amelio. Autoaccusa che poi in seguito più volte ha ritrattato.
Oggi una lettera privata riporta alla luce i fantasmi del passato: “Sono Scarantino Vincenzo che Le scrive e mi creda non è una cosa facile per me, essendo con uno stato d’animo difficilissimo. Dopo essere stato arrestato anni fa, sono stato colpito dalla brutta bestia quale è la depressione con la quale ho convissuto con il bruttissimo evento riguardante la stimata persona che era il Dottor Borsellino. E lì nel carcere ove ero richiuso, Busto Arsizio e successivamente Pianosa, è iniziato un assalto psicologico da parte degli enti, come per esempio dopo essere andato a visita dal dentista mi facevano far credere che avevo contratto l’ Aids condannandomi a priori con il fatto che chi faceva male a dei magistrati veniva impiccato o strangolato con l’emissione del bollito nella bocca”.
“Sono stato avvolto da effetti mediatici più forti di me – scrive sempre Scarantino – non avendo le forze di combattere. E di conseguenza sono stato oggetto e vittima di piani e strategie che non mi appartenevano questo già perché quando sono stato portato all’aeroporto militare di Boccadifalco avevo subito evidenziato che io nulla sapevo sia della macchina, sia della strage e in atto e avvenuta”.
“Chiunque incontravo e cercavo di parlare e riflettere sul fatto che io non sapevo nulla di nulla dell’accaduto, ha sempre cercato di stravolgere i miei pensieri minacciandomi ogni qualvolta che se non la smettevo mi toglievano i miei figli e mi allontanavano definitivamente da mia moglie e tutta la famiglia. Questo mi uccideva mentalmente attimo dopo attimo, ma la paura di subire l’allontanamento forzato della mia famiglia mi terrorizzava. Ogni qualvolta riprendevo il coraggio di dire che le indagini erano sbagliate e le verità erano altre, venivo zittito e minacciato a dover pensare ai miei figli ed a mia moglie che era una bella donna …”.
“Ho provato molte volte a voler conferire con persone, ma poi al momento che ero di fronte a loro venivo inondato dalle loro gentilezze e non riuscivo più a parlare e dire ogni verità. Mi sono costituito in vari carceri italiani per poter dire la verità. Ma puntualmente i referenti mi facevano buttare fuori anche dalle stesse carceri. Io non avevo nessun motivo di depistare le indagini né tantomeno ne avevo voglia, ma per la mia fragilità nelle decisioni è diventata un’arma infallibile per chi invece ne aveva di motivi e di voglie per depistare tutto”.
“Fatto sta che hanno vinto LORO. Le indagini sono state depistate. Infatti oggi sono rimasto un uomo solo ed abbandonato da tutta la famiglia e da tutti. Sono sicuro che quel poco che fino ad ora ho scritto non darà mai la rispettabilità dovuta al dottor Borsellino. Lui è stato tradito dalla mia inconsapevole fragilità, ma anche da chi volutamente ha fatto capire altro. Detto tutto ciò vengo da VOI a chiedervi umilmente perdono per quanto accaduto e per il coraggio che non ho mai avuto a fermare quella macchina di disobbedienti e di menti più qualificate della mia”.
“Vi chiedo perdono per tutto e vi ringrazio per essere stati la fonte di un coraggio a me sconosciuto il quale da oggi mi libererà da un peso terribile. Perdono”.
La personalità di un uomo, la cui evidente fragilità diviene un’arma per coloro che avevano interesse nel depistare le indagini. Ed è così che durante la presentazione di un libro che ha come argomento proprio le indagini sulla strage di via D’Amelio, 19 luglio 1992, in cui persero la vita il magistrato Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta, tasselli mancanti si vanno aggiungendo ad un mosaico che ancora tanti ne cerca.
Sopra, foto di Vincenzo Scarantino tratta da nottecriminale.wordpress.com