La giovane mamma morì il 29 dicembre del 2011 dopo una dose letale di una farmaco. Era affetta da un linfoma di Hodgkin, ma invece di somministrarle nove milligrammi di vinblastina gliene furono dati 90. Oggi la raffica di condanne e l'interdizione dall'esercizio della professione per diversi anni per i protagonisti di quella vicenda
Valeria e la chemio killer, condannati medici e infermieri I familiari: «Finalmente fatta giustizia, ma tragedia resta»
«Mia figlia ha avuto giustizia. Speriamo che serva per evitare che episodi simili accadano in futuro». Mamma Maria Rosa lo dice tra le lacrime subito dopo che il giudice Claudia Rosini ha emesso la sentenza. Cinque condanne, tra medici e infermieri, per la morte di Valeria Lembo, la donna uccisa a Palermo da una dose eccessiva di un farmaco chemioterapico. La giovane mamma di un bimbo di pochi mesi era affetta di un linfoma di Hodgkin. Morì il 29 dicembre del 2011 al termine di un calvario dopo che per sbaglio le fu iniettata una dose dieci volte superiore a quella necessaria. Un dosaggio fatale. Perché, invece, dei nove milligrammi di vinblastina gliene furono somministrati 90.
Oggi dal giudice monocratico una raffica di condanne, che è andata ben oltre le richieste dei pm. Quattro anni e sei mesi, per omicidio colposo, sono stati inflitti all’ex primario di Oncologia del Policlinico Sergio Palmeri e sette la collega Laura Di Noto accusata anche di falso. A sei anni e mezzo è stato condannato lo specializzando Alberto Bongiovanni, anche lui accusato di omicidio colposo e falso. Quattro anni ciascuna alle infermiere professionali Clotilde Guarnaccia e Elena D’Emma, accusate di omicidio colposo. Assolto lo studente universitario Gioacchino Mancuso. Inflitta, inoltre, l’interdizione dall’esercizio della professione agli imputati per una durata pari alla condanna. Il giudice ha anche stabilito una provvisionale immediatamente esecutiva di un milione di euro per il marito Tiziano Fiordilino, 400 mila euro ciascuno ai genitori della donna, 80 mila euro alla zia Anna Maria D’Amico.
«Niente può restituirci Valeria – ha detto la zia Anna Maria D’Amico – però oggi abbiamo avuto almeno giustizia, con un giudice che è andato oltre le richieste dei magistrati, dando il massimo della pena». Una raffica di condanne per una incredibile storia di malasanità. Per il marito di Valeria, Tiziano, «sono state riconosciutele responsabilità di chi ha sbagliato. Sono contento dell’interdizione dalla professione che il giudice ha voluto riconoscere perché questo può impedire che succedano le stesse cose in futuro». Certo «la nostra tragedia rimane la stessa», anche perché il bimbo di tre anni che Valeria ha lasciato chiede sempre della sua mamma. «Ovviamente non sa nulla del processo. Ogni volta che c’è stata un’udienza, gli abbiamo detto che andavamo dal dentista. Un giorno gli spiegherò la verità».