Per la Banca d'Italia, tra il 2007 e il 2014, le immatricolazioni sono diminuite del 20%. I problemi cominciano già al primo anno. Ma i dati dimostrano che le performance migliorano per chi si iscrive lontano dal proprio Comune. Secondo i fuori corso i problemi vanno cercati nella disorganizzazione
Universitari siciliani, tempi di laurea più lunghi d’Italia Ma più si allontanano da casa, più crescono i risultati
Meno studenti iscritti all’università, più emigrati al Centro-Nord e i tempi di laurea più lunghi d’Italia. È la fotografia che fa la Banca d’Italia delle università siciliane, nel report sull’economia nell’isola nel 2015. Sono sempre meno i giovani che, dopo il diploma, scelgono di continuare a studiare a Palermo, Catania o Messina. Tra il 2007 e il 2014 le immatricolazioni sono diminuite del 19,5 per cento. È vero, anche nel resto d’Italia le iscrizioni calano, ma solo dell’8 per cento. La percentuale siciliana è più bassa anche della media delle altre Regioni meridionali, che si ferma a un -16,2 per cento.
Secondo il report, a contribuire a questo crollo sono tre fattori. Il primo è di carattere generale: il calo della popolazione residente. A cui si aggiungono altri due elementi: ci sono meno neodiplomati rispetto al totale della popolazione e, infine, meno neodiplomati decidono di iscriversi all’università. Prendendo in esame i dati del quadriennio 2004-2007, si evince che solo quattro diplomati su dieci (il 39 per cento) si iscrivono all’università, a fronte del 43 per cento della media nazionale. Non solo. Quelli che alla fine decidono di continuare a studiare troppo spesso non ce la fanno ad arrivare fino in fondo. Appena il 12 per cento dei 18-20enni siciliani si laurea in corso, percentuale che sale al 45 entro i quattro anni di ritardo. Le difficoltà però iniziano subito: solo un quarto degli studenti ottiene almeno 40 crediti formativi su 60 al primo anno (la media nazionale è del 38,7 per cento, quella del Mezzogiorno del 31,6), accumulando già un bel fardello da portarsi dietro negli anni successivi. Primo anno che vede abbandonare definitivamente le università siciliane al 14 per cento degli immatricolati.
A questi numeri ne vanno contrapposti altri. Il report racconta infatti che i diplomati siciliani che scelgono di continuare gli studi in un’altra Regione non affrontano le stesse difficoltà. Anzi, più ci si allontana da casa, più crescono le performances e diminuisce il tasso di abbandono. Solo il 21 per cento di chi rimane nella stessa provincia di residenza ottiene più di 40 crediti al primo anno di università. Percentuale che comincia a salire passando a una provincia della stessa regione (23 per cento), a un’altra regione della stessa area geografica (37 per cento), per arrivare al 41 per cento tra i siciliani che raggiungono regioni del Centro Nord. In quest’ultimo caso, sottolinea il report di Banca d’Italia, «la performance è migliore e in linea con quella media nazionale».
Solo una questione legata a minori distrazioni? Stando a sentire alcuni studenti lavoratori e fuori corso dell’Università di Catania, le motivazioni vanno cercate altrove. «Il sistema con cui è organizzato l’ateneo è difficilmente compatibile con il lavoro – lamenta Licia, studentessa catanese di Lettere -. Non parlo tanto del carico di studio, quanto piuttosto della disorganizzazione: se devi fare un esame, sei costretto a prendere uno o più giorni liberi perché capita che la prof non si presenta o rinvia. Stessa cosa per l’orario di ricevimento dei docenti che spesso sono poco disponibili». Cinzia, studentessa di Lingue originaria del Ragusano, vive da fuorisede a Catania. «In molte facoltà – spiega – il calendario delle sessioni di esami viene pubblicato molto tardi, anche appena un paio di settimane prima. E poi spesso il peso delle materie non corrisponde al numero dei crediti».
Anche Banca d’Italia punta il dito contro alcune croniche inefficienze del sistema d’istruzione superiore sicilianio. «La quasi totalità della popolazione regionale di 18-20 anni di età può accedere ad almeno un corso di laurea entro 60 minuti dal Comune di residenza, come nel resto del Paese». Fino a qua nulla di strano. «Ma tale quota – continua il report – declina più rapidamente al crescere del numero di corsi considerati. I giovani siciliani possono accedere, sempre in 60 minuti, a un’offerta formativa meno differenziata rispetto alla media italiana e del Mezzogiorno». Tutti fattori che contribuiscono alla scelta dei giovani studenti di continuare gli studi altrove. Dove, dati alla mano, i siciliani sembrano non essere da meno dei loro coetanei d’oltre Stretto.