A dirlo è la Svimez. Dai dati del Miur emerge come negli atenei isolani ci siano quasi solo siciliani, mentre quelli del Centro-Nord accolgano molti meridionali già a partire dalle triennali. Il motivo non starebbe nei programmi, ma nelle opportunità post-laurea
Università, più di un siciliano su quattro studia al Nord «I contatti con le aziende contano più dei programmi»
Più di un siciliano su quattro sceglie di andare fuori per frequentare l’università. Non solo per conseguire particolari specializzazioni, ma già dal principio del percorso accademico. Il racconto della Sicilia che si spopola passa anche dai corridoi degli atenei isolani, un tempo luogo dove allevare sogni e aspettative con la consapevolezza che la loro realizzazione molto probabilmente sarebbe passata per la partenza verso altre terre. Forse Roma, magari in Continente, quasi certamente al di là dello Stretto. Negli ultimi anni, però, quei corridoi sono meno frequentati già a partire dagli anni successivi al diploma. A dirlo sono i dati dell’Anagrafe nazionale degli studenti curata dal Miur, ripresi negli scorsi mesi dalla Svimez, l’agenzia per lo sviluppo del Mezzogiorno, in un rapporto in cui emerge come oltre un siciliano su quattro faccia le valigie ancora prima della laurea.
Stando all’ultimo aggiornamento dei dati ministeriali relativi all’anno accademico 2016-2017, i siciliani iscritti all’università sono stati oltre 155mila, dei quali più di 42mila nei corsi offerti dagli atenei del Centro-Nord. A Bologna, per esempio, i siciliani rappresentano il 4,31 per cento degli studenti universitari. Percentuali ancora maggiori a Milano, dove la popolazione siciliana della Cattolica è del 4,4, mentre gli iscritti alla Bocconi superano il 5 per cento. L’ateneo di Pisa beneficia invece del 7,43 per cento di iscrizioni provenienti dalla Sicilia. Guardando alla Capitale, la maggior parte dei siciliani si iscrive a La Sapienza (2,21% della popolazione studentesca), mentre a Tor Vergata e Roma Tre i dati sono del 3,22 e 1,23. La percentuale più alta, tra gli atenei più importanti, è quella del Politecnico di Torino con più di tremila studenti, pari al 10,21 per cento degli iscritti. Davanti a questi numeri, se è naturale pensare alle perdite economiche derivanti dal fatto che raramente i laureati torneranno al Sud, un aspetto sottovalutato secondo la Svimez sta nel fatto che la perdita di una tale quota di giovani «implica che nel Sud vi sia una minore spesa per istruzione universitaria da parte della pubbliche amministrazioni». In altre parole, meno studenti si iscrivono alle università siciliane e meno soldi saranno investiti dalle istituzioni, con la possibile conseguenza che la qualità dei servizi peggiori.
Ma qual è il motivo per cui si sceglie di anticipare le partenze dalla Sicilia? Per la Svimez non starebbe nell’offerta formativa meno appetibile – e questo nonostante le ultime classifiche sulle università italiane vedano le siciliane relegate agli ultimi posti – ma nella volontà da parte dei giovani di «anticipare la decisione migratoria già al momento della scelta universitaria, con l’obiettivo di avvicinarsi a mercati del lavoro che vengono ritenuti maggiormente in grado di assorbire capitale umano ad alta formazione». Ovvero una decisione frutto della consapevolezza che, visto che prima o poi bisognerà partire, tanto vale farlo prima così da avere più tempo per stringere relazioni utili a quello che gli amanti degli anglicismi definiscono self marketing. «I partecipanti ai master con cui collaboro sono perlopiù giovani del Meridione – dichiara a MeridioNews Claudio Achilli, formatore e docente alla Business School de Il Sole 24 ore -. Ma è una scelta che io per primo suggerisco ai giovani laureati che partecipano agli incontri di formazione che mi capita di fare al Sud, Sicilia compresa. I motivi sono tanti, ma su tutti il fatto che frequentare un corso al Nord significa avere stage con un tessuto imprenditoriale più vivo. Tirocini che possono realmente diventare un lavoro». Per Achilli, però, partire significa anche altro: «Amo la Sicilia, ma nel Sud purtroppo il concetto di professionalità funziona ancora molto poco. Contano l’amicizia e altre cose che inevitabilmente sviliscono gli sforzi di chi si vorrebbe impegnare nella propria terra – continua l’esperto -. Al Nord c’è un livello di rigore che non trovo da altre parti».
«Farei distinzioni tra le triennali e le magistrali – commenta Salvatore Zappalà, docente di Psicologia del lavoro e delle organizzazioni all’Università di Bologna -. Nel primo caso l’iscrizione al Nord deriva spesso dal desiderio di fare un’esperienza di vita lontano da casa, che esula dalla formazione in sé. Per quanto riguarda le magistrali, la scelta è influenzata dalla necessità di trovare un corso di studi più attinente possibile ai propri interessi». I dati ministeriali confermano che l’aumento delle partenze nel recente passato ha riguardato sia le magistrali che i corsi triennali: facendo, per esempio, un raffronto tra il numero di immatricolazioni alle triennali a La Sapienza e al Politecnico di Torino, negli anni 2001-2012 e 2016-2017, si scopre che il numero di siciliani è cresciuto in maniera sostanziosa. «Se una università dà la possibilità di fare stage prestigiosi – continua Zappalà – ma anche l’opportunità durante le lezioni di confrontarsi con figure provenienti da aziende importanti è naturale risulti più appetibile per gli studenti. Oggi più di un tempo pensano al mondo del lavoro sin dal momento della scelta dell’ateneo». In questo starebbe anche il motivo per cui è molto raro che un ragazzo cresciuto al Nord decida di andare al Sud per studiare. Anche in questo caso a fotografare la situazione è il Miur: oltre il 99 per cento degli iscritti nelle università di Palermo, Catania ed Enna è siciliano, percentuale che si abbassa al 75 per cento a Messina, complice la vicinanza allo Stretto (i calabresi sono oltre il 23 per cento). «Un primo passo per ridurre l’esodo – propone Zappalà – sarebbe quello da parte delle università di coinvolgere maggiormente il mondo del lavoro del Sud, ma bisogna anche riconoscere che entrano in gioco questioni che vanno oltre la volontà degli atenei».
Ma come la pensano i diretti interessati? Tra chi ha fatto le valigie per andare a studiare fuori dalla Sicilia c’è anche chi – la minoranza – dopo avere ottenuto la laurea ha trovato il modo per ritornare a casa. Per cercare lavoro o tutt’al più inventarselo. È il caso di Francesco Armato, palermitano che dopo avere frequentato l’università a Roma ha fatto il percorso inverso dando vita alla casa editoriale Il Palindromo. Anche per lui a fare da ago della bilancia è il contesto lavorativo. «Il Centro-Nord continua a essere un bacino che assorbe meglio e più diffusamente la domanda di lavoro. Più che dove ottieni la laurea, il punto fondamentale è dove sei disposto e puoi permetterti di andare per cercare il lavoro – commenta -. Ciò non significa che bisogna necessariamente scappare al Nord, o ancor meglio all’estero, per trovare lavoro, ma sicuramente i tempi di questa ricerca al Sud sono sempre più lunghi e la possibilità di ottenere un posto retribuito, che corrisponda al grado di competenze ed energie intellettuali offerte da un giovane specializzato, è davvero arduo». Difficile ma non impossibile. «Sono tornato in Sicilia consapevole che per fare quello che volevo, insieme al mio socio Nicola Leo, dovevamo inventarci il lavoro – continua Armato -. Era una scommessa in cui credere. Ma nel nostro caso sarebbe stato così dovunque in Italia, quindi siamo tornati nella nostra città che è e resta la nostra finestra privilegiata sul mondo. A Palermo abbiamo costruito la nostra rete di contatti, coinvolgendo nei nostri progetti decine di giovani tra autori, illustratori e collaboratori. Solo qui possono e potranno nascere la maggior parte dei nostri libri. Resta sempre una scommessa, ma dopo cinque anni – conclude – sappiamo già che ne è valsa la pena».
Diversa è la storia invece di Valerio Cassarino, fisioterapista gelese tornato in Sicilia dopo avere studiato in Liguria. «Quando sono partito l’ho fatto innanzitutto per fare un’esperienza di vita in una realtà diversa da quella della provincia siciliana – racconta -. Poi, dopo un periodo di lavoro al Nord, ho trovato posto qui nell’Isola, dove da poco sono stato assunto a tempo indeterminato in una struttura privata». Nel caso di Cassarino entra in gioco la particolarità del settore sanità e le differenti situazioni tra la Sicilia e il resto del Paese. «Al Centro-Nord il contratto a tempo indeterminato lo si ottiene con i concorsi, da noi sono bloccati – continua -. In Sicilia, invece, molto più che altrove è possibile avere l’indeterminato lavorando per i privati. La struttura in cui sto lavorando è alla ricerca di cinque fisioterapisti. Ciò non toglie – conclude – che a parità di condizioni contrattuali mi piacerebbe ritornare a lavorare al Nord».