Un esposto su un discusso bando per una docenza e una lunga battaglia legale, conclusa con l'assoluzione con formula piena per la professionista. Che oggi vuole dire la sua, in risposta a un articolo del 2013 di Link Sicilia, presente nell'archivio di MeridioNews
Unipa, dopo 7 anni si chiude caso del corso di Restauro Parla la prof Angela Lombardo: «Volevano screditarmi»
«Per molto tempo si è cercato di mettere in discussione la mia professionalità, come restauratrice, ma peggio come professoressa di un corso di laurea che mi ha vista coinvolta dall’inizio della sua istituzione». Dopo una vicenda durata sette anni con una causa per falso riguardo un discusso bando per una docenza, adesso che è stata assolta con formula piena (qui il testo della sentenza), è intenzionata a dire la sua Angela Lombardo, restauratrice, già responsabile di uno dei due laboratori di restauro della regione Siciliana e non più docente – per scelta sua – dell’università di Palermo. Tutto comincia da un articolo apparso su LinkSicilia il 3 gennaio 2013 che dà conto di un esposto contro Lombardo, presentato da tre restauratori (Stefania Ruello, Gloria Bonanno e Marco Di Bella). L’articolo in questione si trova oggi nell’archivio di MeridioNews come lascito di una iniziale fusione tra una testata catanese e LinkSicilia – matrimonio breve e non troppo fortunato -, con conseguente importazione dell’archivio della testata palermitana. Rispondendo comunque di quanto presente sulle nostre pagine (benché scritto prima della nascita stessa di Meridio), è nostro dovere dare spazio alla replica di Lombardo. Uno spazio che sarebbe stato già necessario a suo tempo, ma alla cui mancanza noi possiamo porre rimedio solo adesso.
Professoressa (quando lo si è, lo si rimane per sempre), cosa è successo dopo aver appreso dell’esposto?
«Sono stata anche oggetto di un’azione persecutoria con le finalità di discreditarmi. Di tutta questa attività a me avversa a più livelli, la mia posizione sicura e serena mi ha fatto sottostimare le conseguenze, ritenendo che un attacco tanto spregiudicato quanto falso, non aveva nessuna possibilità di successo. Ma per un mistero a me non ancora chiaro, quello che doveva essere naturalmente archiviato diventa una estenuante causa penale che dura oltre sette anni, e chiusa nei mesi scorsi, con la mia piena assoluzione perché il fatto non sussiste».
Lei ha scelto di attendere la sentenza prima di dire la sua. Come ha trascorso questi sette anni?
«Tutto questo ha cambiato il mio atteggiamento, ho preso una pausa quasi obbligata dal mio lavoro, ho fatto sì che le questioni di diritto seguissero i canali a loro assegnati e, anche se sicura di non avere mancato in niente, neanche per omissione, nel lungo periodo trascorso, ho reagito, sul piano del diritto, alla diffamazione con una richiesta di censura a chi si è reso strumento di diffamazione».
Avrebbe potuto chiedere, come molti, la rimozione dell’articolo incriminato. E invece ha scelto una formula diversa: contestualizzare anziché far dimenticare. Come mai?
«Ritengo che le mie parole, con la fermezza che deriva dall’aver fatto bene, siano dovute per un’informazione corretta sulla vicenda, a quanti a vario titolo sono venuti a conoscenza di questi sgraziati fatti».