Francesco Randazzo insegna Diritto tributario all'università di Catania ed è indagato nel procedimento - partito da Firenze e arrivato a toccare tutt'Italia - sul presunto sistema di favoritismi nel mondo accademico. «I vertici dell'ateneo non si sono espressi, lo facciamo noi», dice la studentessa Lara Torrisi
UniCt, studenti bloccano l’aula del prof indagato A Villa Cerami protesta dopo inchiesta corruzione
Alcuni studenti di fronte alla stanza del professore Francesco Randazzo, a Villa Cerami. Nastro di plastica bianco e rosso, un cartello con una X nera e un messaggio per l’università di Catania: «Se i vertici dell’ateneo non dicono niente, allora parliamo noi che la vita accademica la viviamo tutti i giorni». È la protesta messa in atto questa mattina dagli studenti e dalle studentesse del coordinamento universitario di Catania che si sono presentati alla porta del docente di Diritto tributario al dipartimento di Giurisprudenza, sebbene lui in quel momento non fosse in sede. Randazzo è tra gli indagati della procura di Firenze nell’ambito dell’inchiesta sulla corruzione nel sistema dei concorsi universitari in Italia: un maxi approfondimento, del quale si occupano i finanzieri fiorentini, che attraversa tutto lo Stivale e parla anche di presunti favoritismi nell’assegnazione delle cattedre.
Secondo quanto si apprende da fonti investigative, nei confronti di Randazzo non è stata emessa alcuna misura cautelare. La magistratura avrebbe disposto solo una perquisizione nel suo studio in ateneo e non è stato deciso nessun ulteriore provvedimento. «In altri atenei, però, la dirigenza si è espressa – dice Lara Torrisi, componente del coordinamento – Qui nessuno sembra avere intenzione di prendere una posizione. Il sistema che è emerso dall’inchiesta non ci sorprende, perché sappiamo perfettamente quanto possa essere clientelare il mondo dell’università». Ed è anche per manifestare contro questi fatti che gli studenti etnei scenderanno in strada, il 13 ottobre (concentramento alle 9 in piazza Roma), prendendo parte a una più ampia mobilitazione nazionale.
«Apprendo solo adesso quanto avvenuto questa mattina – dichiara a MeridioNews il professore Roberto Pennisi, direttore del dipartimento di Giurisprudenza – Qualcuno clandestinamente ha apposto quel nastro sulla porta della stanza di un nostro docente e posso solo immaginare che sia avvenuto per via dei fatti giudiziari noti, perché con me non ha parlato nessuno». Secondo Pennisi, la protesta «non è conforme ai principi che regolano il nostro ordinamento giuridico e i nostri studenti dovrebbero saperlo: il professore Randazzo è, allo stato attuale, soltanto indagato. Ha ricevuto un avviso in questo senso e nei suoi confronti non è stata emessa alcuna misura da parte della magistratura».
Che altri atenei italiani abbiano preso provvedimenti e non quello etneo «deriva dal fatto che non tutte le posizioni sono uguali. Il collega Randazzo è un professionista della cui correttezza non ho mai avuto modo di dubitare. Cosa vorrebbero gli studenti? Che puntassimo il dito perché è indagato per responsabilità non accertate?». E per fatti non ancora chiari, visto che nell’ordinanza che è stata emessa alla posizione di Randazzo, su cui sono in corso ulteriori accertamenti, non si fa riferimento. «L’inchiesta riguarda quasi l’intero mondo del Diritto tributario italiano. Allo stato attuale, non c’è alcun motivo per prendere posizione».
A rafforzare quanto affermato da Pennisi, arriva anche la nota dell’università di Catania: «Il professore Francesco Randazzo non è stato destinatario di alcuna misura di interdizione o di limitazione delle sue funzioni da parte degli organi della magistratura inquirente», scrive l’ateneo in un comunicato diffuso alla stampa. Nel caso in cui l’indagine, attualmente in corso, dovesse fornire ulteriori sviluppi, «l’ateneo, che sta vigilando attentamente sui fatti riportati nei giorni scorsi da tutti gli organi di stampa, nell’attuazione dei principi e valori espressamente affermati nel proprio Codice etico, attiverà le procedure disciplinari previste dalla legge in questi casi, a garanzia della comunità accademica».