Unict non paga il risarcimento imposto dal Tar Odissea di un ricercatore lunga più di tre anni

Una sentenza, le diffide degli avvocati, le mozioni in parlamento. Tutto questo non è ancora servito a Giambattista Scirè per vedersi riconosciuto un diritto: è lui il vincitore del concorso per ricercatore di Storia contemporanea nell’ex facoltà di Lingue di Ragusa, un contratto della durata di tre anni prorogabile per altri due che però lo ha visto insegnare solo per quattro mesi. Ad aggravare una vicenda già anomala contribuisce il ritardo per il risarcimento e le spese legali disposto dal Tribunale amministrativo. Circa 50mila euro in totale, che l’università di Catania avrebbe dovuto versare entro 120 giorni. «Sono passati i primi quattro mesi e poi ne sono passati altri tre – racconta con amarezza Scirè – È tutto fermo, non riesco a scalfire questo muro di gomma».

La sua odissea parte nell’aprile 2012 e diventa presto un caso nazionale, arrivando anche in Parlamento con l’interrogazione del deputato Paolo Corsini all’allora ministro dell’Istruzione Francesco Profumo. L’ateneo catanese bandisce un contratto per didattica e ricerca in Storia contemporanea e viene nominata vincitrice Melania Nucifora, ricercatrice che però ha una laurea in Architettura. Il risultato viene impugnato davanti al Tar dal secondo classificato – Scirè, appunto – che all’epoca era ricercatore in Storia a Firenze. Per la prima volta in Italia viene sconfessato l’operato di una commissione giudicatrice (formata dai professori Simone Neri Serneri, dell’’università di Siena, Luigi Masella, dell’’ateneo di Bari, e Alessandra Staderini, dell’’università di Firenze, scelti dall’ex rettore Antonino Recca) e viene stabilito che Nucifora non aveva i titoli per ottenere quel contratto a tempo determinato.

Da quando sono finito in questo girone infernale, ho smesso di scrivere e poi non potevo fare attività didattica, perché c’era qualcun altro al mio posto

Qui, però, si innesca un secondo livello della vicenda e riguarda il fronte interno dell’università. La somma già stanziata dall’ateneo per lo stipendio di Nucifora dovrebbe essere versata una seconda volta, nei confronti del reale vincitore del concorso. Si tratta di trenta mensilità alle quali – come stabilito dalla sentenza – va tolto il trenta per cento, perché a lavorare effettivamente non è stato Giambattista Scirè. Ma, dato che si tratta del primo caso di questo genere, non è chiaro chi debba pagare. «L’ateneo? L’ex rettore? O forse la commissione?», si chiede lo storico. Come se non bastasse, rimane poi aperta la questione del riconoscimento del titolo, che dovrebbe essere tolto a Nucifora e assegnato a Scirè. 

«Dopo la sentenza credevo che tutto sarebbe finito». Invece Unict reintegra Scirè, ma solo per gli ultimi quattro mesi che rimangono alla scadenza di un contratto del quale fino a quel momento ha usufruito Melania Nucifora. Aggiungendo i proverbiali danno e beffa, l’ateneo indice un nuovo bando per lo stesso posto. Il rinnovo biennale del ruolo non viene concesso a Scirè perché non risultano nuove attività accademiche. «Da quando sono finito in questo girone infernale, ho smesso di scrivere e poi non potevo fare attività didattica, perché c’era qualcun altro al mio posto». 

Nemmeno una seconda interrogazione parlamentare – stavolta diretta alla ministra Stefania Giannini – ottiene effetto. I legali dell’ormai ex docente inviano anche alcune diffide, intimando il pagamento. «La sentenza è di fine maggio 2014; c’è poi un passaggio al Consiglio di giustizia amministrativo che fa slittare la scadenza definitiva ai primi giorni di dicembre 2014». I famosi 120 giorni dovrebbero partire da quel momento, ma intanto di mesi ne passano sette

«Cosa devo fare? – si interroga – Me ne vado all’estero? Io sono tornato in Sicilia per insegnare». La delusione che trapela dalla voce di Scirè è grande. «È una vicenda dai connotati assurdi. Ma io ho fatto una cosa che avrebbero dovuto fare tutti – tiene a precisare – Non sono un rivoluzionario, non mi sento Masaniello. Ho semplicemente chiesto che venisse riconosciuto un mio diritto». 


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