All'indomani dell'annuncio ufficiale che riapre all'accesso sedici corsi di laurea, l'ateneo non dimentica le difficoltà che riguardano il percorso accademico dei suoi studenti. Seconda in classifica nazionale per numero di ripetenti, l'università etnea prova a fare fronte a una situazione complessa che parte già dalle scuole superiori
Unict e la fine del numero chiuso generale Restano i problemi per matricole e fuoricorso
Via i test di accesso per tutti i corsi dell’università di Catania, ma restano i problemi nel percorso degli studenti. Difficoltà che hanno ripercussioni anche sulle casse di Unict. «Abbiamo fatto un’analisi accurata di flussi e iscrizioni. Sulla base di questi dati, abbiamo convocato i direttori e lasciato loro piena autonomia di scelta». Bianca Maria Lombardo, delegata del rettore alla Didattica del rettore Giacomo Pignataro, spiega così il percorso che ha portato l’ateneo a riaprire l’accesso in sedici dei suoi corsi di laurea. Il numero chiuso totale era stato introdotto dall’ex rettore Antonino Recca nell’anno accademico 2010-2011. Quella che ha portato alla decisione ufficializzata per il prossimo anno «è stata una valutazione compiuta da ogni singola comunità». Che, infatti, ha prodotto delle eccezioni.
Su tutti è il caso di Scienze politiche, area che ha blindato con i test di accesso tutti i suoi corsi. «La preoccupazione è che potessero arrivare studenti in numero non sostenibile per l’organico di docenti e la disponibilità di strutture», sottolinea. Vincoli che sono imposti a livello ministeriale. Una logica che ha prevalso anche a Scienze e tecniche psicologiche, dove qualche mese fa uno studente ha vinto un ricorso al Tar proprio sul merito del numero chiuso. «A sorpresa, invece, altri dipartimenti come Ingegneria hanno scelto di aprire le iscrizioni per tutti i corsi. Eventualmente prenderanno una decisione successivamente se dovessero ridistribuire i posti».
Le novità annunciate dai vertici universitari riguardano anche dei fondi ad hoc – 840mila euro – che verranno impiegati per migliorare orientamento e formazione. «Anche in questo caso abbiamo lasciato autonomia ai dipartimenti – precisa la docente – abbiamo chiesto di fare dei progetti e distribuito i finanziamenti sia sulla base delle idee che del numero di studenti coinvolti». Le misure riguarderanno soprattutto attività di «tutorato per risolvere i problemi che le matricole incontrano al primo anno. Abbiamo riscontrato che le difficoltà maggiori sono lì. Bisogna dare servizi di supporto e rafforzare l’accoglienza, perché questi ragazzi hanno difficoltà a orientarsi». Inoltre verranno «registrate le parti più complesse dei programmi o delle attività didattiche particolare che possono essere forniti in forma multimediale». Tutto per «sperare di ridurre il numero di studenti che restano bloccati al primo anno».
La permanenza degli studenti è un nodo centrale per l’ateneo di Catania. Secondo una classifica che raccoglie in una classifica nazionale degli studenti fuoricorso, l’università etnea si piazza al secondo posto, con il 52 per cento degli studenti in ritardo rispetto al normale svolgimento del percorso universitario. Un problema che si riflette anche nella scelta da parte del ministero di penalizzare economicamente performance del genere. Fondi già ridotti del venti per cento e con un calo delle iscrizioni molto pesante al Sud. Un problema che Bianca Maria Lombardo non minimizza, anzi. «La progressione di carriera è molto importante, soprattutto per i ragazzi – dice – È indubbio che entrare in età più adulta nel mondo del lavoro è un handicap».
Una situazione che si trascina probabilmente dalla riforma dell’università che nel 1992 ha introdotto la formula del 3+2 (una laurea triennale più una biennale specialistica) e inserito il concetto di crediti formativi universitari (cfu). Ossia il calcolo – sulla base di ore di lezione e di studio personale – che avrebbe dovuto determinare il valore numerico di ogni singola materia. «È vero che probabilmente molti docenti, in molti corsi, pretendono un livello più classico del carico di lavoro – ammette la delegata alla Didattica – Molti colleghi sono convinti che si debbano avere dei livelli molto elevati». Una condizione che emerge anche dalle esperienze degli studenti che poi si spostano fuori da Unict per la specialistica e vedono una netta differenza nelle competenze richieste.
Ultimo problema, ma non meno influente, è quello relativo ai percorsi scolastici. «Scontiamo un problema di conoscenza all’ingresso – afferma Lombardo – Ne abbiamo avuto conferma perché ci sono una serie di corsi che hanno i test di accesso uguali ad altre regioni, pur non essendo a carattere nazionale. I nostri ragazzi si piazzano in posizioni più basse rispetto agli altri, anche con un voto di diploma più alto». Fondamentale, per questo motivo, il coinvolgimento degli altri soggetti coinvolti. «Possiamo essere i più bravi, avere un tutor per studente, ma se non risolviamo il problema a monte non c’è soluzione. Stiamo progettando delle azioni con il territorio per migliorare la situazione».