Luca Recupero, Simona Di Gregorio e Matilde Politi - noti per il loro impegno nella riscoperta delle sonorità siciliane - si sono riuniti attorno a un progetto corale. Assieme ad altri hanno avviato il progetto che, a Catania, prende vita al Centro polifunzionale Midulla
Unica vuci, il laboratorio sociale per i canti popolari «Una musica che fa parte del patrimonio collettivo»
Luca Recupero, Simona Di Gregorio e Matilde Politi sono solo alcuni dei nomi che ruotano intorno al progetto Unica vuci, gruppo corale ideato tra Palermo e Catania intorno alla fine del 2017 e nato dalla costante collaborazione tra questi tre studiosi ed esecutori di musica popolare siciliana e altri cultori, quali Pasqualino Cacciola e Biagio Guerrera, quest’ultimo presidente dell’Associazione musicale etnea. La materia prima del progetto – divenuto un laboratorio oggi attivo al Centro Midulla di San Cristoforo a Catania e il Circolo Arci Tavola Tonda dei Cantieri Culturali della Zisa a Palermo – è il canto polivocale tradizionale, raramente eseguito e spesso mai sentito, ma da cui emergono le voci e i racconti dei pescatori siciliani di corallo, dei mennulari dell’entroterra, dei contadini e dei barcaioli delle tonnare, di una Sicilia ormai lontana dal punto di vista storico, ma ben presente nel patrimonio identitario.
«Non siamo dei nostalgici – spiega Luca Recupero – viviamo nel presente. Per questo intendiamo valorizzare ciò che sopravvive del passato nella nostra identità, senza cristallizzarlo. Abbiamo scelto, per questo, il tema del mare perché ci sembra il simbolo positivo della Sicilia. È il mare che ha reso possibile l’incontro con altre culture e che ha fatto dell’isola il melting-pot del Mediterraneo». Un progetto di valorizzazione del passato, dunque, che guarda al presente. Unica vuci, infatti, non si limita a raccontare il passato attraverso il recupero di un archivio tramandato da studiosi e trascrittori della tradizione musicale siciliana – tra i quali spicca l’etnomusicologo e compositore palermitano Alberto Favara (morto nel 1923) – ma si presta a più funzioni. Oltre all’intrattenimento, infatti, vi è una latente dimensione sociale che si fa carne nell’esecuzione collettiva del canto e che ne costituisce l’essenza.
Lo spiega meglio Simona Di Gregorio, direttrice del coro: «Al di là dell’aspetto musicale, Unica vuci vuole essere un’esperienza sociale per i fruitori. L’obiettivo del progetto, infatti, è stato sin da subito quello di farne un laboratorio aperto a tutti (i partecipanti sono uomini, donne e giovani di qualunque estrazione, ndr) che non si limita a raccontare la tradizione, ma piuttosto a cantarla e diffonderla. Ci siamo infatti resi conto che il senso e la funzione del canto stanno nell’esecuzione collettiva stessa». Sintomo di apertura del gruppo, è la presenza di membri di varia provenienza e nazionalità: oltre ai siciliani, vi sono infatti una campana, un irlandese, una romagnola e una genovese. «Il canto polivocale – aggiunge Matilde Politi – ha una funzione precisa: mantenere il benessere comunitario e proporsi come alternativa all’identità culturale omologante. È una tecnica di interazione, come a Luca piace definirla, che suggerisce un modo positivo di fare relazione. Questo aspetto nella musica attuale viene sempre più a mancare. Oggi la musica si ascolta in cuffia, questi sono invece canti che acquisiscono un senso quando divengono bene comune, quando vengono condivisi da più voci».
Musica, socialità, identità ma anche ricerca. Il lavoro degli ideatori del progetto è, infatti, anche di natura scientifica. «L’idea del coro – continua Luca – nasce in concomitanza con un lavoro di archivio. Il repertorio musicale eseguito, è sempre il risultato di un lavoro ad ampio raggio di analisi su un corpus molto denso, costituito da varie fonti». Al momento, la fonte più importante del gruppo siciliano, è l’archivio di Alberto Favara che nella seconda metà dell’800 ha raccolto più di 1081 trascrizioni su pentagramma. «Il testo di Favara è di straordinaria importanza – interviene Pasqualino Cacciola – un archivio monumentale dal quale si colgono le più disparate e inaspettate influenze musicali, napoletane o africane. In maniera involontaria, questi canti si fanno anche testimonianze di fatti storici; scopriamo, ad esempio, dell’esistenza di ciurme miste, inglesi e siciliane e della creazione di lingue a noi sconosciute a metà tra l’inglese e il siciliano». Il gruppo è attualmente impegnato nella registrazione di Canti del mare che culmineranno nella realizzazione di un disco, per la quale il gruppo ha aperto una campagna di crowdfunding sul sito Produzioni dal basso.