Tra tubi che gocciolano, ambulanze che vengono e talvolta vengono mandate via con il loro paziente: «Non solo non ci sono medici, non c'è neanche una sedia libera qua dentro». Il racconto di una giornata qualunque nell'ospedale palermitano
Un giorno e una notte al pronto soccorso di Villa Sofia Dove un codice giallo può attendere anche per 19 ore
L’ambulanza ha varcato il cancello del Villa Sofia alle 10.22, trasporta un signore anziano, vittima di un incidente stradale con un sospetto trauma cranico. Si posiziona di fronte all’ingresso del pronto soccorso, due sanitari portano giù la barella con l’uomo che prima viene sottoposto a tampone rapido, poi, verso le 11, entra a fare il triage. Il codice che gli è stato assegnato è quello giallo, il secondo più grave dopo il rosso. L’ambulanza si sistema in linea con le altre tre in attesa. Molto si è parlato nei mesi scorsi del reparto emergenze dell’ospedale, che fa parte dell’azienda Ospedali Riuniti Villa Sofia-Cervello. Spesso si è discusso delle lunghe attese, di una situazione al collasso, ci sono state persino delle audizioni in commissione regionale Sanità, niente tuttavia è cambiato e a oggi, chi arriva sulle proprie gambe, in auto o in ambulanza al pronto soccorso nei pressi dello stadio sa quando entra ma non quando esce.
È mercoledì mattina, il caldo è asfissiante, anche a causa dell’umidità, la sala d’aspetto è piena solo per metà, tanti hanno preso le sedie e le hanno trasportate fuori, all’ombra, nonostante l’aria condizionata funzioni. Al centro della sala, una parte del controsoffitto è stata smontata e si vede un tubo che non la smette di perdere acqua. Acqua che gocciola all’interno di un contenitore in plastica con in bella vista la scritta Materia Infetta. Al momento non funzionano i distributori automatici di caffè – verranno resi operativi più tardi – e l’assenza sembra farsi sentire per le tante persone che aspettano il proprio turno dalla sera prima. Poco dopo l’ora di pranzo l’uomo vittima di incidente torna un po’ dolorante dai suoi parenti, che nel frattempo gli hanno preso da mangiare, un pasto molto leggero, dovrà fare diversi esami, ma solo quando sarà il suo turno: tutti guardano il tabellone in attesa che qualcosa si muova, ma la fila scorre pianissimo e il via vai di ambulanze non si arresta. Ogni tanto qualcuno esce dall’astanteria e chiama i nomi delle persone a turno, che prontamente si avvicinano di scatto all’ingresso, ma non tocca a loro. Presto infatti scopriranno che si tratta soltanto di una sorta di appello chiamato per verificare se qualcuno ha ceduto ed è andato a casa, per aggiornare la lista d’attesa.
Cala la sera e la situazione sembra tranquillizzarsi, in molti se ne sono andati, anche se le sirene che segnalano ambulanze in arrivo continuano a essere tantissime. Sono le 22. L’anziano arrivato quasi dodici prima ha ancora 14 persone davanti a sé. Un’altra ambulanza scarica un ragazzo, anche lui vittima di incidente, è immobilizzato sulla barella e ha un segno sulla testa. Gli operatori del 118 tuttavia vengono fermati all’ingresso da un infermiere. «Non sappiamo neanche dove metterlo – dice – dovete portarvelo via. Non solo non abbiamo medici, ma lì dentro non abbiamo neanche un posto, neanche una sedia libera». Vanno via, direzione Civico, consapevoli che dovranno attraversare tutta la città a sirene spiegate. Intanto due donne, parenti di un paziente entrato poche ore prima, dopo essersi assentate per qualche minuto scoprono che la loro auto, parcheggiata in viale Croce Rossa, è stata rubata.
Inghilterra e Danimarca sulla Tv della sala d’attesa stanno decidendo ai rigori chi andrà a giocarsi la finale degli Europei di calcio contro lItalia. Arrivano altri due codici rossi, poi dei ragazzini in costume da bagno ricoperti di sangue e passata la mezzanotte ecco persino spuntare un giovane che, in piedi sul gradino nei pressi dell’approdo delle ambulanze, comincia a recitare un lungo sermone a sfondo religioso, spiegando alla sua ignara platea che «La vera guarigione è in Gesù». La vera notizia però è che il tabellone finalmente chiama il numero di un signore arrivato alle quattro del mattino precedente. La gente fuori tenta di dormire nelle macchine, altri fumano, altri scrollano il telefono in maniera compulsiva. Anche l’uomo giunto la mattina si trova sull’auto dei suoi familiari, per rilassarsi un attimo mentre dentro trasmettono di nuovo Inghilterra-Danimarca, questa volta in replica. L’anziano verrà alla fine chiamato poco prima dei calci di rigore, dopo le quattro. Uscirà un’ora dopo per un’altra attesa, stavolta più breve, quella dei referti di tac e radiografie. Poi salirà sull’auto della figlia che lo riaccompagnerà a casa, dopo quasi 19 ore di turno, mentre il sole delle cinque del mattino inizia ad albeggiare.