Tutti i ‘Muri’ del mondo ci dicono gli gli uomini non cercano l’unione e la pace

CE NE SONO ANCORA TANTI. TRA MAROCCO E SPAGNA, TRA INDIA E PAKISTAN, IN CALIFORNIA  E IN ARIZONA. E ANCORA TRA GRECIA E TURCHIA, TRA EGITTO E ISRAELE, TRA ARABIA SAUDITA E YEMEN, TRA IRAQ E KUWAIT, TRA IRAN E AFGANISTAN. E QUELLI FINANZIATI DALL’UNIONE EUROPEA…

Pochi giorni fa, sono state diffuse le immagini di decine e decine di immigrati clandestini che hanno cercato di varcare la frontiera tra la Spagna e il Marocco. Lo hanno fatto cercando di scavalcare la doppia rete di recinzione coperta di filo spinato a Melilla, avanposto europeo in terra d’Africa. Molti sono rimasti feriti, sia fra gli immigrati, rimasti per ore sospesi sulla rete di protezione alta sei metri, che fra gli agenti della guardia civile.

Se dovessero chiedere a chiunque qual è stato il momento in cui l’Europa è stata moralmente e fisicamente “unita”, molti risponderebbero: “L’abbattimento del muro di Berlino, nel 1989”. Fu quello l’evento che più di ogni altro segnò l’abbattimento delle frontiere in Europa. L’unificazione delle due parti di un’Europa non più divisa tra Est e Ovest. Più del Trattato di Schengen, più di qualsiasi altro accordo, quasi sempre scritto più per venire incontro alle grandi industrie che ai cittadini.

Di ”muri” ce ne sono ancora decine, forse centinaia, nel mondo, ma anche in Europa. Muri costruiti anche in tempi recenti e che dimostrano che l’unificazione tra i popoli è ancora molto lontana: quella proclamata da molti può essere al limite solo un’unione commerciale, ma mai né culturale, né sociale.

In Marocco si trova anche il “muro del Sahara Occidentale” (il Berm): un insieme di otto muri difensivi costruiti tra il 1981 e il 1987, voluti da re Hassan di Marocco per proteggere le popolazioni residenti a nord della zona dell’ex Sahara spagnolo dalle incursioni del Fronte Polisario (Frente Popular de Liberación de Saguía el Hamra y Río de Oro). Una struttura immane, seconda per dimensioni solo alla grande muraglia cinese, e come quella, piena di bunker, fossati, bastioni di pietre e sabbia e reticolati di filo spinato e campi minati.

Pieni di mine sono anche i terreni su cui si affaccia la linea che divide India e Pakistan. Una barricata, chiamata “Linea di Controllo”, che si estende per 3300 chilometri e che, dal 1949, divide una delle più belle regioni dell’Asia: il Kashmir. Una barricata armata con cavi elettrici, sensori di movimento e telecamere termiche che separa due popoli tanto simili eppure tanto diversi.

Anche i civilissimi Stati Uniti hanno cercato di far fronte all’immigrazione clandestina dal Messico trincerandosi dietro barriere di cemento: come quelle di Chula Vista e di Tijuana, in California, o quelle che si trovano in Arizona, in New Mexico e in Texas, tutte costruite con l’obiettivo di evitare impedire agli immigranti clandestini di oltrepassare il confine statunitense.

Molte di queste barriere sono note, anche se i giornali cercano di non parlarne (come nel caso della barriera che separa le due Coree), altre, invece, sono meno note. Come quella che separa Grecia e Turchia per evitare che i rifugiati politici possano entrare in Europa.

Eppure non si tratta di immigrati clandestini, come la quasi totalità di quelli che approdano sulle coste italiane, ma di veri e propri profughi di guerra, fuggiti da luoghi in cui hanno luogo conflitti armati come la Siria, l’Iraq, l’Afghanistan. Eppure, stranamente, il progetto per la costruzione di questa barriera umanitaria è stato approvato e finanziato dall’Unione Europea, nel 2012.

Anche il “muro” costruito dalla Spagna a Ceuta e Metella è stato costruito con il beneplacito (anche economico) dell’UE. La stessa Unione Europea che, in altre occasioni, ha finanziato accordi e collaborazione tra i due Paesi, ma che poi ha pensato che fosse necessario chiudere fisicamente le frontiere con un muro.

Anche in Irlanda è possibile trovare barriere che dividono lo stesso popolo. A Belfast, in Irlanda del Nord, c’è una montagna di metallo, cemento e filo spinato chiamata “Peace Line”, la cui costruzione è cominciata nel lontano 1969, quando gli scontri tra cattolici e protestanti sfociarono nei “Troubles”. Una guerra a colpi di attentati sanguinari che ora sembra appartenere al passato, eppure nuove barriere continuano ad essere costruite (l’ultima nel settembre 2011).

Ci sono muri e barriere tra Egitto e Israele, tra Arabia Saudita e Yemen, tra Iraq e Kuwait, tra Israele e Cisgiordania, tra Iran, Afganistan e Pakistan, in Brasile (per evitare che le favelas si espandano fino alla città), a Cipro, tra Zimbabwe e Botswuana, tra Israele e Palestina e in decine e decine di altri posti.

Ma ci sono muri anche in Italia. A Padova, dove il “muro di via Anelli”, costruito alla fine del 2006, ha diviso un quartiere dal resto della città (ufficialmente per ragioni di ordine pubblico). Col tempo quasi tutti gli edifici dell’area recintata sono stati interamente sgomberati, ma il muro è ancora lì.

La verità è che chi governa, in Europa come nel mondo, non vuole affatto un’unione tra i popoli: l’unica “unione” che si cerca di realizzare è quella economica, quella che fa comodo alle multinazionali che così possono vendere i loro prodotti e rifornirsi di materie prime senza dover pagare dazi alla frontiera. Tutto il resto è e continuerà ad essere diviso.

E, almeno a giudicare dal numero di nuovi muri che vengono costruiti ogni anno, sono in molti a volere che continui ad esserlo.

 

 


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