Tutta un’altra musica

Suoneranno giovedì 23 dicembre alla sala Lomax (via Fornai 44) per MADE IN ITALY, la rassegna curata da Mercati Generali, Graffiti e Lomax. Il Pan del Diavolo, pericolosissimo duo siciliano dal nome evocativo e sicuramente una delle più esaltanti rivelazioni del primo anno del nuovo decennio, nasce nel 2006 e suona con due chitarre acustiche e grancassa. Sono all’Osso è il fortunatissimo esordio full- lenght uscito il 15 gennaio 2010 per Tempesta Dischi. Sandro Alosi dei Pan del Diavolo è stato ospite ai microfoni di Radio Zammù per l’appuntamento più psychobilly della stagione.

Ciao Sandro. Giovedì 23 aprirete la rassegna musicale Made In Italy alla Lomax, con una sorpresa. So per certo che non sarete solo in due sul palco. Puoi confermarmelo?
In realtà per il concerto di Catania saremo nella formazione originale, in duo. Però non ti sbagli, per questo tour ultimo tour cominciato il 18 dicembre suoniamo in cinque con basso, chitarra e batteria dei ‘Criminal Jokers’.

Avete realizzato questo connubio con i Criminal Jokers, realizzando numerose date. Cosa è cambiato nei vostri live?
I concerti sono molto più rock’n’roll. Io non sono legato alla grancassa e ho molta più libertà di movimento. Ci sono sicuramente degli slanci personali più ampi rispetto ai concerti acustici. Sono comunque molto soddisfatto.

Il vostro primo album, ‘Sono all’osso’, è uscito il 15 gennaio 2010 per Tempesta Dischi. Siete contenti della strada intrapresa in questi dodici mesi?
Sì, siamo molto contenti. Non solo perché siamo arrivati alla finale del ‘Premio Tenco’ nella categoria ‘miglior opera prima’, ma anche perché siamo riusciti a realizzare altre importanti cose. A febbraio, dopo queste ultime date, ci fermeremo un po’, magari per lavorare ad un nuovo album.

Restando al vostro primo album, ho letto un paio di recensioni e mi ha impressionato soprattutto quella di Onda Rock. Definisce il vostro album ”come una scarnificazione rigeneratrice di un ritorno ai primordi del rock ‘n roll passando per le misteriose installazioni di un folk vera sorgente di vita”. Ti piace questa definizione?
Sì, molto. Anche se ricordavo che Onda Rock ci avesse stroncato. Forse ricordavo male, meglio così.

Mi aveva colpito questa idea della scarnificazione, perché mi piace l’idea di un duo che con solo chitarra e grancassa riesce a far tremare i palchi. Anche questa è scarnificazione?
Certo. L’idea è quella di lasciare le canzoni al loro grado zero. Realizzare dei pezzi con solo la voce, una chitarra e una sola percussione, in maniera che non ci fossero troppi ricami e che le canzoni potessero essere ascoltate con semplicità e sincerità. Sul palco però siamo molto violenti perché è quello che vogliamo comunicare ai nostri fan. Io non riesco a stare fermo sul palco, se volessimo realizzare dei concerti composti ci presenteremmo in giacca e cravatta.

Come nascono le dodici tracce di ‘Sono all’osso’? Quanto c’è di intimistico e autobiografico?
Quasi tutti i brani sono fanta-autobiografici. Riprendono un po’ delle cose vere un po’ no. Inoltre, fanno riferimento a delle immagini che ogni ascoltatore può rincollare a suo piacimento. Abbiamo cercato di non essere troppo didattici.

Prendete ispirazione da generi musicali non molto utilizzati in Italia come il folk o il punk. La vostra presenza al ‘Premio Tenco’ però vi lega alla nostra terra. Voi come vi sentite?
Noi ci sentiamo nipoti della musica italiana, ci sentiamo legati all’Italia. D’altronde scrivo e canto in italiano, ci sarebbe qualche lacuna se ci sentissimo slegati dal panorama musicale nostrano.

Quanto alla lunghezza dei vostri brani, che difficilmente superano i tre minuti. C’è dietro una scelta precisa o e tutto dato al caso?
Esistono praticamente due possibilità di scelta. O canzoni da due minuti e mezzo, o canzoni da oltre quattro minuti. Mi auguro che la scelta sia dovuta solo a motivi di comunicazione e non commerciali. Quando ho scritto i pezzi, esaurivo quello che volevo dire in un paio di minuti e non c’era bisogno di aggiungere altro.

In questo periodo di scioperi contro la riforma Gelmini, parliamo di ‘Università’, canzone inserita nel vostro album. Sei uno studente attualmente?
In questo momento sì. Dopo un primo periodo da studente, qualche mese dopo il liceo, ho preso un pausa, poi ho ricominciato nuovamente. La canzone l’ho scritta durante il periodo di pausa, ma i pochi mesi trascorsi all’università mi erano bastati per avere subito un rigetto, perché in fondo attorno all’università non c’è niente.

Che idea ti sei fatto di queste proteste?
Era ora arrivassero. Aldilà di quello che si voti dentro il palazzo, è necessario che succeda tutto quello a cui abbiamo assistito, come l’occupazione dell’aeroporto di Palermo. Finché non entreremo noi all’interno del palazzo, non potremmo aspettarci che votino a favore dei nostri bisogni.

Chi fa musica oggi, deve fare un lavoro di denuncia o deve starsene in disparte?
Io non lo faccio, però sono lievemente favorevole ad una musica socialmente impegnata. Certo faccio ancora difficoltà a riconoscere questa musica, dall’ultimo pezzo di Moltheni a quella di Fabri Fibra. Secondo me, comunque, la musica di denuncia della Bandabardò è finita.

Siamo in chiusura, cosa volete dire agli ascoltatori di Radio Zammù?
Ovviamente sono tutti invitati. Siamo già stati due volte a Catania però, la prima volta eravamo ancora in forma embrionale, la seconda volta, questa estate, sono venuto da solo perché Gianluca era ammalato. Adesso siamo al completo, è l’occasione giusta per ascoltarci dal vivo.


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