Turchia, il governo minaccia di usare i carri armati

 di Gabriele Bonafede

Dopo averli schiacciati con i bulldozer, il governo turco minaccia di schiacciare i pacifici manifestanti turchi con i carri armati. La minaccia arriva dal vice premier turco Bülent Ar?nç ed è stata già riportata da grandi organi d’informazione occidentali come il giornale tedesco Frankfurter Allgemeine, oltre ai  giornali turchi.

Carri armati dell’esercito turco

La tensione sale dunque in Turchia dove, nel frattempo, la rivolta pacifica si estende sempre più, soprattutto nelle grandi città e con il sostegno dei sindacati, oltre al maggiore partito d’opposizione (il CHP Cumhuriyet Halk Partisi, ovvero Partito Popolare Repubblicano), che hanno proclamato un altro sciopero generale.

Prima di arrivare all’uso dell’esercito vero e proprio, il governo turco ha però minacciato d’utilizzare la gendarmeria, simile ai carabinieri italiani, e cioè facenti parte dell’esercito ma, in Turchia, sotto il controllo completo del Ministero dell’interno.

Il sostegno dell’esercito, e anche della sola gendarmeria della quale fa comunque parte, per la dura e impopolare repressione messa in atto dal governo non è tuttavia un fatto scontato. Storicamente l’esercito turco è di estrazione fortemente laica, e la filosofia della dirigenza militare poggia sui principi dello stato turco laico fondato da Kemal Pasha, padre della Turchia moderna, e cioè sui principi sui quali è fondato il CHP stesso. Se non tutto, gran parte dell’esercito turco potrebbe quindi rifiutarsi d’intervenire a fianco di un governo guidato da un partito islamista che solo fino a ieri si dichiarava “moderatamente” islamista, garantista e democratico ma che sta dimostrando di non esserlo affatto.

Inoltre, va considerato che solo alcuni mesi fa (il 21 Settembre 2012), la Corte Penale Turca ha condannato ben 300 persone tra cui tre generali alla detenzione per un tentato colpo di Stato che sarebbe dovuto avvenire nel 2003. Si tratta di un lungo processo legale che ha lasciato strascichi e del quale ancora si discute.

Considerando che la Turchia è un paese di quasi 80 milioni di abitanti e una grande potenza militare, economica e industriale, con diversificate aree geografiche e demografiche, gli scenari che si aprono sono drammatici e non solo per il vicino Oriente, ma anche per l’Europa, della quale la Turchia fa territorialmente parte, volenti o nolenti, nella sua capitale economica, Istanbul, centro della rivolta.

L’esercito turco è considerato dagli esperti il secondo per potenza, numero d’uomini e mezzi nella NATO, dopo quello degli Usa. L’aviazione turca è anche dotata di numerose armi nucleari.

Schierato principalmente nella parte orientale del paese, dove deve far fronte a ben quattro emergenze, contiene in se un gran numero di alti ufficiali che guardano con orrore ai dirigenti del partito del premier Erdogan. Le quattro emergenze che deve affrontare al momento l’esercito turco sono quelle “storiche” della Turchia e cioè il problema armeno e quello curdo, alle quali si aggiungono la instabile situazione dell’Iraq e la guerra civile in corso in Siria.

Esercito turco. Foto tratta da www.foreignpolicy.com

Esistono ovviamente acquartieramenti di un certo peso nella zona europea, ma che sono molto meno consistenti di quanto non fossero 25-30 anni fa, quando dovevano controllare il confine con la Bulgaria, allora appartenente al patto di Varsavia di matrice comunista e quindi nemico della Nato. Benché le ricorrenti crisi con la Grecia, e l’instabile situazione di Cipro, suggeriscono una certa consistenza nelle coste dell’Egeo e del Mediterraneo orientale, l’intervento nelle aree della rivolta, principalmente Istanbul, Ankara, Smirne e alcune città costiere, non è pensabile in tempi brevi, a prescindere dalla volontà d’’intervenire da parte dell’esercito.

Piuttosto, se il governo turco decidesse realmente di chiamare in aiuto l’esercito nella sua violenta repressione, si profilerebbero scenari da incubo. Ne consideriamo tre.

Uno,un colpo di stato dell’esercito con la deposizione di Erdogan. Uno scenario che, oltre a uccidere la democrazia aprirebbe scenari spaventosi, compresa la possibilità di una guerra civile, data la grande popolarità della quale godono, comunque, Erdogan e il suo partito.

Due, la partecipazione alla repressione con conseguente lotta intestina nell’esercito. Anche questo sarebbe uno scenario da incubo perché potrebbe portare a una guerra civile tra diversi settori dell’esercito, con conseguenze non meno disastrose per la Turchia e per la pace internazionale.

Terzo scenario sarebbe quello delle dimissioni del governo di Erdogan e la sostituzione con un governo di saluto nazionale. È la soluzione che forse potrebbe salvare la Turchia e l’Europa da una crisi si proporzioni incalcolabili, e per la quale dovrebbero lavorare tutte le diplomazie, soprattutto quella europea e quella tedesca in particolare.

Angela Merkel

Lo faranno? Al momento non ci sono sentori di questa strategia.  Angela Merkel, capo indiscusso della zona-Europa, e che ci pare giusto considerarla come una “sovrana” dell’UE, ha finalmente pronunciato un paio di frasi a proposito della gravissima crisi turca: “Sono scioccata così come molte altre persone”  dice a Rtl, cadendo dalle nuvole, e come se avesse appreso la notizia dai giornali alla stregua di un comune cittadino e non del cancelliere della potente Germania. E dichiara anche: “Sono molto preoccupata”.

Ma è preoccupata per la situazione, e cioè per i cittadini turchi ed europei, o per la sua poltrona?

Speriamo sia realmente preoccupata per i cittadini. Siamo troppo ottimisti? Speriamo di no.

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