La storia di una giovane desiderata dal demonio messa in scena allinterno del carcere di Augusta: è stato questo l'insolito debutto dei ragazzi del laboratorio Tradurre per la scena della Facoltà di Lettere e Filosofia di Catania, che proporranno il loro adattamento di La Fanciulla, il Diavolo e il mulino di Olivier Py giovedì 2 luglio alle 19 al chiostro del Monastero dei Benedettini
Tu chiamala, se vuoi, evasione
Cos’è l’arte? “Dire in una sola parola la morte e la gioia” recita il testo di Oliver Py scelto dai ragazzi della Facoltà di Lettere di Catania nell’ambito del laboratorio “Tradurre per la scena”. Una frase che riecheggia forte nella sala spettacoli della Casa di Reclusione di Augusta, il luogo del debutto degli studenti-attori, giovedì scorso.
Giunto ormai alla sua seconda edizione, il laboratorio propone quest’anno una favola, “La Fanciulla, il Diavolo e il mulino” del francese Olivier Py, testo ancora mai tradotto e portato in scena in lingua italiana. La traduzione è stata infatti curata da Nina Guglielmino, una delle ragazze del laboratorio, e sarà anche la sua tesi di laurea. “Nina ci ha dato una bozza di testo già a gennaio” spiega Salvo Gennuso, il regista che segue gli studenti, “e lavorando tutti insieme la abbiamo aiutata a renderlo più efficace”. Una storia semplice, ma che i dieci ragazzi hanno saputo arricchire e rendere attraente. Una fiaba, ma da seguire attentamente, che guida gli spettatori attraverso un inizio lento, che lascia spazio all’arte corporea degli attori, fino ad una rapida conclusione tutta d’un fiato. Una dolce fanciulla donata da uno sventurato padre ad un diavolo simpaticissimo che, nonostante gli immensi poteri, sembra non azzeccarne una. Un insieme di variopinti personaggi che, seppur negli stereotipi del genere fiabesco, aggiungono qualcosa di proprio allo spettacolo e sanno contraddistinguersi: dal deciso principe al saggio giardiniere – solo un filino maschilista –, dall’angelo custode alla coppia di scheletri dallo humor quanto meno anglosassone.
Gli studenti, tutti della facoltà di Lettere, a partire da gennaio hanno lavorato per quasi cinque mesi allo spettacolo, provando però con discontinuità, anche a causa della carenza di spazi. Ospitati una volta alla settimana nel Monastero dei Benedettini e l’altra dalla Chiesa Valdese, il nomadismo delle prove ha certo aggiunto difficoltà al gruppo. Anche perché, come ci spiega Gennuso, “uno spettacolo è legato al luogo in cui nasce; altrove si può solo adattare”. Non sarebbe quindi male riuscire a trovare degli spazi appostiti, che consentano agli studenti-attori di provare e sperimentare, esercitandosi liberamente nei compiti che vengono loro assegnati dal regista. Nonostante le difficoltà gli attori hanno però trovato l’affiatamento giusto, evidente sopra il palco, ma anche quando cala il sipario. “Lo spirito di gruppo è stato importantissimo, abbiamo condiviso tutto e, soprattutto, collaborato”, ci dice Mariagrazia Licata, una delle attrici. Oltre a recitare, infatti, alcuni ragazzi hanno potuto approfittare del laboratorio per approfondire altre esperienze: la critica e lo studio di Nina, il disegno dei costumi della stessa Mariagrazia e le prossime possibili traduzioni di Laura Zerbini e Giuseppe Randazzini di altri autori francofoni come Mouawad, Ribes e Azama. “Ma abbiamo condiviso anche le paure e i dubbi, perchè l’esperienza teatrale ti mette a nudo, mostra i tuoi limiti”, ci confessa Nina.
Ed è proprio con l’idea del teatro come scuola di vita e momento di crescita che i ragazzi hanno deciso di regalare un’anteprima del loro spettacolo nel carcere di Augusta. Uno scambio d’arte, a dire il vero, con i detenuti che partecipano al progetto “Teatro in carcere”, curato dallo stesso Salvo Gennuso: Arsen, Totò, Peppe, Andrea, Carmine, Marco, Alfoso, Saro, Tani e Gigi hanno letto alcune poesie di Pessoa, evocative immagini della loro condizione di uomini reclusi, ma che stanno imparando a migliorare sé stessi. Ad aggiungere emozione c’è stata anche la proiezione di un mediometraggio realizzato dai ragazzi dell’Istituto penale minorile di Catania: giorni di ordinario smarrimento a Librino, per far capire che un’altra strada è possibile, anzi necessaria.
Un pubblico difficile per gli studenti-attori che, preparati anche dai racconti di Gennuso, non si aspettavano nulla dalla realtà carceraria. “Lavoriamo sullo stesso testo, quindi sappiamo già che condivideremo qualcosa”, ci spiega Lia Basile. Sono lontani mille miglia dagli stereotipi questi motivatissimi ragazzi: “non mi aspetto nulla di strano, solo persone” è il commento, poi confermato giù dal palco, di Salvo Baio.
Professionali i ragazzi, ma la vera sorpresa sono stati loro, i detenuti: attentissimi nel seguire lo spettacolo, in un silenzio spezzato solo ogni tanto da un commento appassionato o divertente qua e là. Ed era impossibile non vedere brillare gli occhi degli attori quando, alla fine dello spettacolo, una folla si è stretta intorno a loro: tutti volevano stringere la mano a quei ragazzi, in una serie di lunghissimi complimenti e rassicuranti sorrisi.
Se questo è stato il debutto, cosa possono mai aspettarsi giovedì 2 luglio alle 19 a chiostro del Monastero dei Benedettini Salvo Baio, Lia Basile, Anna Bellia, Nina Guglielmino, Valeria Iacono, Mariagrazia Licata, Giuseppe Randazzini, Marco Sciotto e Laura Zerbini?