Una pubblicazione della rivista Science ha rilanciato ipotesi catastrofiche che, in realtà, hanno «probabilità non quantificabili perché bassissime». Lo conferma il direttore dell'Ingv Eugenio Privitera. La novità dello studio italo-tedesco? Le indagini sottomarine
Tsunami causato dall’Etna? L’Ingv: «Sensazionalismo» Il movimento del vulcano verso il mare è noto da anni
Giorni duri per chi vive ai piedi del vulcano attivo più alto d’Europa. Dopo aver fatto i conti con lo sciame sismico di Biancavilla, ieri ci si è svegliati con i titoli di giornali e siti in allarme per le previsioni sul collasso in mare dell’Etna e relativo devastante tsunami. Tutto nasce da un articolo scientifico apparso sulla rivista scientifica statunitense Science. Il titolo è: Gravitational collapse of Mount Etna’s southeastern flank (Il collasso gravitazionale del versante sud-est del Monte Etna, ndr). Tra gli autori dell’articolo, oltre a un’equipe del prestigioso centro di ricerca tedesco Geomar, studiosi dell’università tedesca di Kiel ma anche tre firme dell‘Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia di Catania. Poco dopo la diffusione della ricerca, la notizia ha fatto il giro del web tra blog e testate locali e, cavalcando l’ondata di preoccupazione che aleggia in queste settimane nel territorio etneo, ha assunto via via connotazioni sempre più catastrofiche.
In realtà il contenuto della ricerca, di cui non si discute il valore scientifico, non è del tutto una novità. L’articolo, infatti, parla di un fenomeno ormai noto dagli anni Ottanta: l’instabilità del settore sud-orientale dell’edificio vulcanico, che sembrerebbe scivolare lentamente verso est, in direzione del mar Ionio. Tema già trattato anche su MeridioNews ad aprile, in occasione dell’uscita di un altro articolo: (Gravitational sliding of the Mt. Etna massif along a sloping basement) da parte di un gruppo di ricercatori britannici e francesi, coordinati da John Murray della School of environment, earth and ecosystem sciences della Open university Milton Keynes.
L’intera porzione orientale dell’Etna è caratterizzata dalla presenza di diversi sistemi di faglie e fratture che interessano la crosta terrestre anche sotto il livello del mare, evidenziando una generale fragilità dell’intera area. Sarebbe proprio questa la causa sia dei frequenti terremoti che da sempre si registrano lungo questo fianco del vulcano, sia dei lenti movimenti a piccola scala (da alcuni millimetri a pochi centimetri all’anno) e deformazioni del suolo continuamente monitorate dai centri di ricerca. In passato numerosi team di ricerca internazionali e locali hanno effettuato diversi studi per spiegarne le cause, installando varie reti di monitoraggio e fornendo modelli sempre più dettagliati sugli spostamenti dei fianchi del vulcano.
Sui possibili scenari associati al fenomeno, i ricercatori non hanno fatto ipotesi precise e sottolineano come al momento non ci siano i segnali di una frana imminente dell’edificio vulcanico. Ad ogni modo, come è normale che sia, il processo va tenuto sotto controllo ma ciò non costituisce un problema dal momento che l’Etna è già uno dei vulcani più sorvegliati al mondo. Di certo, viene davvero difficile immaginare un improvviso e catastrofico collasso della montagna senza preavviso, al contrario delle notizie diffusesi scatenando sul web polemiche e allarmismi.
Il direttore della sezione di Catania dell’Ingv ha preso le distanze dalle voci alimentate dalla rete in merito a presunti allerta che lo stesso Istituto avrebbe lanciato. «Nessuno ha parlato di scenari specifici che riguardano l’Etna, bensì di scenari generali, riportati a titolo d’esempio – dichiara Eugenio Privitera – ma è chiaro che se si decontestualizzano i discorsi e le dichiarazioni, riportando solo le frasi che permettono un approccio sensazionalistico e magari inserendo una frase a effetto nel titolo, la conseguenza sarà di destare delle preoccupazioni nel lettore». Come sottolinea lo studioso, «L’articolo di Science non fa altro che aggiungere un contributo a un dibattito scientifico che va avanti da anni, ovvero se a causare lo scivolamento del fianco orientale dell’Etna verso il mare sia la gravità, la spinta del magma o entrambi i fattori». La novità sta in un punto: «La ricerca ha fornito delle importanti informazioni sulla parte sommersa del vulcano, informazioni che fino a ieri non erano disponibili».
Conclude poi il direttore dell’Ingv: «Dal punto di vista della pericolosità dell’Etna, nulla è dunque cambiato rispetto a ieri. Un cosiddetto collasso di versante non si può escludere a priori, tant’è che il Dipartimento nazionale della Protezione Civile lo considera tra gli scenari possibili. Pur esistendo il rischio, però, la sua probabilità non è quantificabile perché è talmente bassa che non si può misurare. In ogni caso, è chiaro che se si dovesse verificare, il collasso provocherebbe inevitabilmente uno tsunami».