Due dipendenti dell’ufficio Anagrafe del Comune di Palermo. Ci sono loro dietro le rivelazioni che hanno messo gli investigatori sulle tracce del 47enne Francesco Tuttoilmondo. L’uomo, impiegato di una partecipata della Regione siciliana, è accusato di essere il deus ex machina di un maxisistema ritenuto truffaldino che sarebbe ruotato dietro le carte gialle del reddito di cittadinanza. L’uomo è finito agli arresti domiciliari, mentre a essere indagate sono in tutto 93 persone per una truffa che supera i 620mila euro. Tuttoilmondo si sarebbe adoperato per inviare delle richieste telematiche per il cambio di domicilio e residenza di decine e decine di persone. Determinante, in questo scambio tra privato e pubblico, sarebbe stato il ruolo del Caf Acli centro raccolta Arenella. Attività in cui Tuttoilmondo sarebbe stato più volte presente e all’interno della quale lavorava A. C. La donna, finita indagata ma non destinataria di misura cautelare, sarebbe stata «la longa manus di Tuttoilmondo», si legge nell’ordinanza firmata dal giudice per le indagini preliminari Marco Gaeta.
In diverse occasioni, Tuttoilmondo si sarebbe mostrato pronto a offrire denaro e altre regalie alle dipendenti dell’Anagrafe. In una mail del 12 novembre del 2021 scriveva «100 vanno bene». Più esplicito il tono in altri invii: «Non c’è problema per un regalino affettuoso» e ancora «se mi fa Postapay metto un regalino che rimane tra noi». L’uomo si sarebbe detto disponibile anche a offrire «100 a pratica». L’incartamento considerato falso riguarda dei contratti di locazione, registrati all’Agenzia delle Entrate, tra i privati e l’Istituto autonomo case popolari (Iacp), ma anche dei contratti di locazione per uso abitativo in cui compariva quasi sempre il timbro dell’Agenzia e la relativa ricevuta di registrazione.
Per il giudice, l’indagato «ha dimostrato di potere e sapere falsificare una miriade di documenti oltre a una particolare attenzione al tenore delle comunicazioni». In un dialogo riportato nelle carte dell’inchiesta, Tuttoilmondo avrebbe invitato una persona a non inviare messaggi audio su WhatsApp: «Ti ho detto di non mandarli e tu lo fai sempre», diceva con tono di rimprovero perché il timore era quello di essere scoperto. Tutte circostanze che hanno fatto ritenere necessaria l’applicazione di una misura cautelare detentiva (gli arresti domiciliari) perché, come scrive il giudice ancora nell’ordinanza, «l’indagato ha dimostrato una spregiudicatezza, anche nel tentativo di corruttela, e una capacità organizzativa criminale davvero rilevanti».
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