Il gip convalida la misura preventiva per il valore di circa 800mila euro. E mentre l'esponente di Forza Italia continua a presiedere la commissione Bilancio all'Ars, gli investigatori hanno messo gli occhi su tre corsi finanziati nel 2011 alla cooperativa Fenice
Truffa Formazione, confermato sequestro a deputato Savona Sospetti su altri progetti, uno era per consulente criminologo
«Un quadro desolante e truffaldino». Sono le parole scelte dal gip Guglielmo Nicastro per definire il sistema che sarebbe stato ideato dal deputato regionale di Forza Italia Riccardo Savona, con l’intento di accaparrarsi fondi pubblici dietro il paravento di coop e associazioni impegnate nel mondo della formazione. Il giudice per le indagini preliminari ieri ha confermato il sequestro preventivo di circa 800mila euro, disposto dalla procura di Palermo nell’ambito di un’indagine portata avanti dai finanzieri del gruppo di Palermo, guidati dal colonnello Alessandro Coscarelli.
L’accusa per Savona, la moglie Maria Cristina Bertazzo e la figlia Simona è quella di avere costituito negli anni un’associazione a delinquere, in cui avrebbero avuto un ruolo anche coloro che si sarebbero messi a disposizione per fare da legali rappresentanti alla piccola galassia di associazioni che, per i magistrati, avrebbe avuto in Savona il punto di riferimento. L’esponente di Forza Italia – entrato all’Ars per la prima volta a inizio anni Duemila e da allora mai più uscito, riuscendo a ottenere un seggio per cinque elezioni – avrebbe sfruttato il proprio ruolo di deputato per intercettare i fondi. In questo quadro, un aiuto supplementare gli sarebbe arrivato anche dall’essere stato in ogni legislatura uno dei componenti – il più delle volte nelle vesti di vicepresidente o, come nell’attuale, di presidente – della commissione Bilancio, l’organismo parlamentare regionale attorno a cui ruota la pianificazione finanziaria della Regione. «Savona ha orchestrato e diretto ogni momento dell’istruttoria e della fase successiva all’ammissione al finanziamento», scrive il gip. Secondo il quale, il deputato si sarebbe servito degli altri indagati come «bracci esecutivi».
Stando a quanto emerso dal lavoro delle Fiamme gialle, l’esponente forzista e gli altri sarebbero ricorsi a fatture per operazioni inesistenti e ad altri tipi di simulazioni, come la certificazione della partecipazione di soggetti ai corsi finanziati, così da fornire agli uffici regionali i documenti necessari a liquidare le somme concesse. Tale operato avrebbe avuto come obiettivo principale l’alimentazione di una rete clientelare da sfruttare in particolar modo in campagna elettorale: Savona avrebbe usato i soldi destinati alla formazione per pagare collaboratori impiegati nella propria segreteria politica. Prestazioni lavorative del tutto private, ma che sarebbero state retribuite con denaro pubblico. Stando a quanto dichiarato da Michele Cimino – all’epoca dei fatti tra i più stretti collaboratori di Savona e pure lui tra gli indagati – con i soldi dei progetti sarebbe stata pagata persino la cancelleria usata nella segreteria.
Per il giudice per le indagini preliminari, la gravità degli indizi a carico del presidente della commissione Bilancio è acclarata. E questo indipendentemente dalla qualità degli accertamenti fatti dagli uffici regionali. «La giurisprudenza non ha mancato di affermare – scrive il gip Nicastro – che ai fini della sussistenza del delitto di truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche non ha rilievo la mancanza di diligenza da parte dell’ente erogatore nell’eseguire adeguati controlli in ordine alla veridicità dei dati forniti dal richiedente il contributo pubblico». Dal canto suo Savona, dopo avere ribadito di sentirsi sereno ed estraneo alle contestazioni della procura, sta continuando la propria attività all’Ars. Martedì scorso, il deputato ha presieduto la seduta di commissione Bilancio dove è in discussione il testo collegato alla Finanziaria, facendo spallucce alla richiesta di dimissioni rinnovata anche ieri dal Movimento 5 stelle, unica forza politica finora a pretendere il passo indietro.
Tuttavia, come già anticipato nei giorni scorsi da MeridioNews, l’inchiesta non si è fermata e, fuori da palazzo dei Normanni, i militari del gruppo di Palermo stanno continuando a passare al setaccio i rapporti tra le associazioni riconducibili a Savona e gli assessorati. Controlli che si stanno spingendo oltre i cinque progetti citati nel decreto di sequestro della scorsa settimana. Al vaglio ci sono le attività della Fenice. La cooperativa sociale con sede in via Emerico Amari, nel 2011, entrò tra gli enti finanziati nell’ambito del piano regionale dell’offerta formativa. La onlus – il cui sito dal 2015 non funziona più e, ironia della sorte, rimanda a un blog in lingua giapponese il cui nome è Motivi per ridere – ottenne il via libera per organizzare tre corsi da circa seicento ore, ognuno dei quali finanziati con somme che si aggiravano sugli 80mila euro e rivolto a un massimo di 15 allievi. La promessa dell’associazione fu quella di formare professionisti nel campo della sicurezza informatica, nei processi di mediazione familiare e interculturale, nonché fornire al mondo del lavoro consulenti criminologi.