È stato trovato privo di vita all’interno della sua cella nel carcere Pagliarelli di Palermo il 32enne Paolo Cugno. Il giovane di Canicattini Bagni (in provincia di Siracusa) che a marzo era stato condannato in via definitiva, con la Cassazione che aveva confermato la sentenza già emessa sia in primo grado che dalla Corte d’Appello, a trent’anni di carcere per il femminicidio della sua compagna 20enne Laura Petrolito nel marzo del 2018. Il pubblico ministero Claudio Camilleri ha già disposto l’autopsia sul cadavere del giovane. Una prassi che non è automatica per tutti i casi del genere che avvengono dentro le carceri. «Ho i miei seri dubbi sul fatto che si sia suicidato – dichiara a MeridioNews l’avvocato Giambattista Rizza che ha assistito Cugno prima che la difesa passasse al legale Carlo Taormina – Ci sono delle incongruenze e a non convincermi sono anche le tempistiche». A tentare di fare luce su quanto accaduto ci penserà l’esame autoptico.
Era la notte del 17 marzo di quattro anni fa quando Cugno ammazzò a coltellate la sua compagna e madre di suo figlio e cercò poi di occultare il suo corpo all’interno di un pozzo artesiano in contrada Tradituso, zona di campagna a nord del centro abitato. Dopo un lungo interrogatorio, il giovane aveva confessato il delitto ma senza mostrare pentimento. Cugno era già noto alle forze dell’ordine. Nel giugno del 2015 era stato sorpreso mentre rubava attrezzi agricoli da un podere, insieme ad altre due persone. Ancora prima, nel luglio del 2013, aveva aggredito un 19enne con una motosega al culmine di una lite e per questo era stato posto agli arresti domiciliari con l’accusa di lesioni aggravate.
Dalle perizie psichiatriche effettuate nel corso del processo, Cugno è sempre risultato in grado di intendere e di volere. Un esito che non ha mai convinto il suo legale, convito invece che il ragazzo avesse delle «disfunzioni a livello cerebrale dovute a un incidente stradale che aveva avuto anni fa». Non solo, in passato a Cugno era già stata diagnosticata una forma di schizofrenia. «Nel 2014 – aveva riferito l’avvocato Rizza al nostro giornale – aveva subìto un trattamento sanitario obbligatorio che lo ha tenuto ricoverato per circa quindici giorni, prima di essere indirizzato al servizio di igiene mentale». Per anni detenuto nel carcere di Cavadonna (a Siracusa) era stato sorvegliato a vista.
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