Trivelle, la strategia comunicativa di Greenpeace «Referendum orfano, le Regioni si sono defilate»

Le dimissioni della ministra Federica Guidi dopo lo scandalo petrolifero nella val d’Agri sono subito state sfruttate in vista del referendum del 17 aprile. I sostenitori del Sì hanno denunciato come le pressioni della «lobby dei fossili» arrivino molto in alto. Ma nell’ottica comunicativa questa è una buona mossa? «È innegabile che le vicende del governo Renzi possono influire sull’esito del voto, o meglio sul raggiungimento del quorum – osserva Andrea Boraschi – responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace – Io sono un assoluto garantista, non mi interessa il profilo penale. Quello che emerge è la sudditanza della politica nei confronti delle aziende che lavorano coi combustibili fossili». 

La celebre associazione ambientalista è diventata, sia per il fronte del sì che per quello dell’astensionismo, la principale interlocutrice/avversaria. Per dare maggiore autorevolezza e credibilità ai propri discorsi continua a usare solo dati e numeri del governo. Cioè della controparte. «Noi ci atteniamo ai dati ufficiali perché già quelli sono sufficienti a dimostrare le nostre ragioni – conferma Boraschi -. Per esempio: oggi abbiamo pubblicato uno studio in cui dimostriamo, coi dati che vengono dal ministero dello Sviluppo Economico e a cui chiunque può accedere, che su 88 piattaforme operanti entro le 12 miglia, solo 24 operano abitualmente al di sopra della franchigia. Le restanti, insomma, non hanno neanche senso». Ed anche sul versante occupazionale Greenpeace continua a citare coloro che stanno dall’altra parte. «Il lavoro – continua Boraschi – è un tema importante ma non connesso col referendum. Il 18 aprile, se dovesse vincere il sì, non si perderà neanche un posto di lavoro. Da fonti sindacali, e poi dal ministro dell’ambiente Gian Luca Galletti, abbiamo appreso che gli addetti alle piattaforme oggetto del voto sono solo 70. Invece abbiamo assistito in questi giorni ad una escalation assurda di numeri occupazionali, sembrava di stare al lotto». 

Le ragioni del No al referendum stanno circolando moltissimo. Si pensi al famoso post della geologa Michela Costa, contro il quale in parecchi si sono espressi, compreso lo stesso Boraschi. Ma se un siciliano su quattro non sa nulla del referendum, allora non è sempre valido il vecchio adagio di Oscar Wilde «l’importante è che se ne parli»?. «Se il No è diventato astensionista e ha deciso di coagularsi ed esprimersi, per noi già questa è una primissima vittoria – concorda Boraschi -. Vuol dire che non si possono ignorare gli argomenti altrui. A noi il confronto piace, e ci piace confutare le teorie coi dati. Quello che non ci piace è un’operazione che viene spacciata per spontanea e che invece è puro marketing». Per quanto riguarda il post di Costa, più che una tesi, al momento senza prove, quell di Boraschi è «un dubbio». «Non dico che lei ha ricevuto una spinta, ma manifesto il legittimo dubbio sulla diffusione così ampia del singolo post – afferma -, anche facendo il paragone con noi: siamo la ong più seguita su Facebook con 500mila mi piace. Ma i nostri contenuti non sono mai arrivati a 18mila condivisioni».

Quindi Boraschi cita il lavoro del Fatto Quotidiano. «Ha mostrato come tra i più attivi nella diffusione di contenuti Sì Triv ci siano persone vicino a Dot Media, la società di comunicazione di fiducia di Matteo Renzi. Oppure prendi il sito Ottimisti e razionali che è stato registrato da persone connesse con la galassia di lobbying riconducibili a Claudio Velardi (saggista e fondatore del giornale il Riformista ndr)». Questo però sembra confermare che l’attivismo pro o contro si concentra principalmente sul web. Che fine ha fatto la comunicazione vecchio stampo, quella di piazza e con volantini e banchetti? «Per quel che so – conclude Boraschi – sono sorti in molti posti comitati in favore del sì. C’è da dire che questo referendum è orfano. Le regioni che l’hanno promosso, ad esempio, si sono in gran parte defilate: c’è solo il protagonismo di alcuni e l’imbarazzante silenzio di altri. Da qui al 17 si spera in un’onda che monti. Il mare è patrimonio di tutti e non consideriamo punti deboli le regioni che non sono direttamente interessate dalle trivellazioni. Mi piace pensare che siamo Davide contro Golia. Forse questa è la volta in cui vince Davide».

Andrea Turco

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