Il docente e biologo, ex direttore del parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise ha lavorato nel 1987 alla creazione dell'ente che tutela il vulcano siciliano. A tre decenni dall'istituzione spiega a MeridioNews la sua visione della Montagna, senza disdegnare qualche provocazione agli amministratori locali
Trentennale parco dell’Etna, parla Franco Tassi «Vulcano ricchezza mondiale, non della politica»
«L’Etna meriterebbe di diventare un parco nazionale». A riproporre a MeridioNews una suggestione viva già in passato è Franco Tassi, autentico guru della tutela ambientale in Italia, docente e biologo, dal 1969 al 2002 direttore del parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. «Il vulcano appartiene al mondo, è una ricchezza che non può essere lasciata agli amministratori locali, il cui orizzonte è naturalmente limitato, o agli interessi di bottega», spiega in occasione del trentennale dall’istituzione del parco dell’Etna.
C’era lui, fondatore del Comitato Parchi italiani, tra i promotori della «sfida del dieci per cento», lanciata nel 1980 con l’obiettivo di estendere la protezione delle prime pioneristiche aree protette del tempo ad almeno il dieci per cento del territorio nazionale. Soglia raggiunta nel 2000, e oggi – anche grazie a istituti come i Siti di interesse comunitario (Sic) nati su impulso dell’Unione Europea – oscillante fra il 15 ed il 20 percento. C’era la mano del Padre dei parchi – riconoscimento assegnatogli dalla Lipu lo scorso dicembre – anche nell’ambito dei lavori preliminari all’istituzione dell’ente parco dell’Etna, grazie all’invio di alcuni esperti che avevano già prestato la loro opera in Abruzzo.
«Oggi come allora e in Sicilia come nel resto del Paese, nel sistema dei parchi c’è bisogno di una visione, di volare alto – ragiona Tassi – Ciò è quanto abbiamo cercato di trasferire trent’anni fa». Ai giorni nostri l’idea di fondo, sull’onda del boom dell’ecoturismo, appare quasi scontata: «La salvaguardia del territorio non è improduttiva, non frena lo sviluppo, ma dirlo a quei tempi non era semplice – ricorda il docente – adesso però le comunità delle aree protette, se capaci, possono attirare visitatori da tutto il mondo grazie alla conservazione del patrimonio naturale». Tutto ciò trova si tocca con mano per esempio sull’appennino abruzzese: «A Civitella Alfedena tutti i 300 abitanti vivono grazie al turismo, senza la tutela del parco questo non sarebbe stato possibile, il paese si sarebbe svuotato».
Sono tante le somiglianze tra l’Etna e il parco d’Abruzzo, dall’estensione alle molteplici peculiarità ambientali, ma anche su piani meno entusiasmanti. Quella spinta ecologista così forte fra anni ottanta e novanta in Italia, oggi si sarebbe come annacquata. Secondo Tassi, che a 78 anni mostra di avere l’energia e la passione di un ragazzino, «i parchi hanno finito per diventare delle Pro loco». Oppure, ancora peggio, «degli uffici di collocamento della politica, delle centrali burocratiche senza le giuste competenze». «Questi enti non possono quindi avere la capacità di coinvolgere le comunità in progetti di valorizzazione che devono avere per forza un respiro internazionale».
Proprio per non escludere la popolazione locale, quando si lavorava al parco dell’Etna l’equipe di Tassi aveva immaginato di dotare ciascun Comune di un Centro natura «per dare lavoro ai giovani accogliendo i turisti e mostrando la bellezza di quel territorio, tutto questo però è rimasto sulla carta». Nonostante tutto, l’ente parco è riuscito a centrare il riconoscimento Unesco, con l’inserimento dell’Etna nella lista dei patrimoni dell’umanità. «Un merito indiscutibile che però si è guadagnato il vulcano da solo – annota Tassi – a noi resta una medaglia, una piattaforma da cui partire, con più idee, più risorse e soprattutto meno burocrazia e più spirito di missione fra coloro che hanno le responsabilità».