‘Trattativa’ anche per Binnu Provenzano

Rotto il muro di omertà intorno alla cattura di Bernardo Provenzano. Il Procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, il 14 dicembre 2011 dichiara al Consiglio superiore della magistratuta (Csm ) che ci fu una trattativa tra Stato e mafia per la cattura del boss dei boss di Corleone, Provenzano, detto Binnu.

Più di un cronista sapeva che su quella cattura, ad un certo punto, si sono rincorse voci su una presunta trattativa tra Stato e ‘cosa nostra’, però non se ne poteva scrivere, perché della notizia scandalosa non vi erano testimonianze o prove da esibire. Erano quindi rimaste chiacchiere con un fondo di verità e zero Fatti.

L’Unità ha raccontato per prima delle dichiarazioni di Grasso davanti al Csm, intervistando anche l’ex capo della Procura, Pier Luigi Vigna, che ha sostanzialmente confermato quanto ha detto Grasso. Cosa hanno detto entrambi? L’informatore che avrebbe fatto da tramite con un altro soggetto per giungere alla cattura di Provenzano era inaffidabile e, dunque, discorso chiuso ancor prima di essere avviato.

Tutto bene! Cioè male, perché questa è la conferma che una trattativa tra lo stato e la mafia c’è stata per l’ennesima volta. Siamo ancora storditi dalla vicenda drammatica del ‘papello’ e della trattativa per fermare le stragi dei primi anni ‘90 prima e per la cattura di Totò Riina dopo, ed ecco che all’orizzonte compare un’altra di trattativa tra Stato e mafia. Allora, verrebbe da dire, avere ‘cosa nostra’ come interlocutore è, per alcune Istituzioni, un vizio e non un caso isolato!

Ora che le acque si sono rotte con l’audizione di Grasso al Csm, potete ben giurare che la partita sulla ennesima vera o presunta trattativa tra Stato e mafia sulla cattura di Provenzano è appena iniziata. Della cattura di Riina ne beneficiò Provenzano. E questo è un dato certo. Vuoi vedere che si scopre che della cattura di Provenzano ne ha beneficiato Messina Denaro? Bisognerebbe chiedere al confidente Nino Vaccarino, già sindaco di castelvetrano, personaggio ‘complesso’, un uomo sufficientemente aduso alla frequentazione con l’ultimo grande latitante di mafia.

Prima di partire con il racconto, ricordiamo che, quando iniziò la presunta trattativa presso la Dna, a capo vi era Pier Luigi Vigna, mentre Piero Grasso era a capo della Procura di Palermo, Giuseppe Pignatone era il suo vice e Renato Cortese era il capo della Squadra Mobile di Palermo (un fedelissimo di Pignatone, tanto che lo seguirà dopo l’arresto di Provenzano anche a Reggio e poi a Roma: sempre vicini).

Provenzano fu arrestato quando Grasso aveva già lasciato Palermo, direzione Roma, con interim affidato al suo fidato Pignatone nel ruolo di procuratore aggiunto. La partita quindi è aperta, perché l’attuale capo della Procura generale di Ancona, Vincenzo Macrì, sempre su un quotidiano nazionale, ha dichiarato che quell’inaffidabilità dichiarata da entrambi (Grasso e Vigna) nei confronti dell’”informatore ragioniere-commercialista” che avrebbe dovuto portare – con amore e pazienza – alla cattura di Provenzano, non era poi così …inaffidabile. Anzi! Solo un pazzo – dice Macrì – si presenta in Dna, accompagnato dagli uomini della Guardia di Finanza per dire: ‘Scusate, che per caso vi interessa catturare Provenzano?’. Costui rischiava la vita e la rischia ancora adesso a maggior ragione. Ricorderemo come Macri, con l’attuale vice di Piero Grasso in Dna, Alberto Cisterna, seguì per delega la questione dell’informatore negli anni in cui a capo della Dna c’era Vigna.

Si narra anche come la zelante e solerte collaborazione dell’informatore ragioniere-commercialista non sia stata a titolo gratuito, ma abbia comportato un “premio”, in cambio della cattura di Binnu, in tutto o in parte di due milioni di euro. Una somma che, ovviamente, ” il messaggero” come invece lo chiama Grasso, avrebbe incassato a cose fatte; altro che “truffatore”, dice Macrì. Di persona attendibilissima si trattò!

E che la partita è appena iniziata si comprende per un altro motivo: verosimilmente, la Procura di Palermo – new course – deciderà di aprire un fascicolo e vederci un po’ più chiaro. Anche perché la questione era emersa durante un’udienza del “processo Mori”. Nel corso di quell’udienza l’ex legale di Massimo Ciancimino, Roberto Mangano, sentito come teste, sollevava dubbi e interrogativi sull’improvvisa coincidente (con la cattura di Provenzano) partenza, verso Sharm el Sheik, proprio di Ciancimino Massimo. Il legale Mangano racconta che “solo circa due anni e mezzo dopo Ciancimino (Massimo) mi spiegò le ragioni del viaggio, che gli avevano consigliato di allontanarsi da Palermo, in quella settimana perché sarebbe successo un fatto eclatante (l’arresto di Provenzano). Io rimasi contrariato perché non me l’aveva detto prima e lui mi spiegò che aveva bisogno di un avvocato a Sharm perché sarebbe accaduto, appunto, un fatto eclatante”.

Ed ancora sul punto Massimo Ciancimino durante un interrogatorio, aveva raccontto ai magistrati Antonno Ingroia e Nino Di Matteo che sarebbe stato “vivamente consigliato” da alcuni personaggi, forse dei servizi segreti, a lasciare l’Italia proprio nella settimana antecedente l’arresto di Provenzano. Se questo fosse vero più di un qualcuno sapeva dell’imminente arresto. Chi e perché? Magari, appunto, nei servizi segreti? Tanto da avvertire Massimo Ciancimino? E perché? Guarda caso, quei servizi segreti che compaiono e scompaiono, ogni volta, nella cattura di qualche boss.

Ancora: la partita è appena iniziata perché lo stesso Vigna, intervistato sull’Unità, riferisce di essere rimasto sorpreso quando nel leggere, nel marzo 2006, in un’intervista di Attilio Bolzoni al legale di Provenzano, Salvatore Traina, che lo stesso Provenzano poteva essere morto. Come morto? Cosa voleva dire? Si meravigliò non poco, Vigna. Ed infatti morto non era certamente, considerato che stava di lì a poco (11 aprile 2006) per essere acciuffato, sembrerebbe al modico prezzo di 2 milioni di denari (euro).

E stiamo pur certi che da adesso in avanti ci saranno nuovi particolari che si aggiungeranno. Basta dare una lettura all’interrogatorio di Alberto Cisterna, dal 2010 braccio destro di Grasso in Dna, di cui il Corriere della Sera ne ha riportato ampi stralci dando la notizia per la quale l’alto magistrato era indagato per corruzione in atti giudiziari. Una fuga di notizia proveniente da “menti raffinatissime”, direbbe il compianto Giovanni Falcone. Una storia ancora tutta da scrivere.

 


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