Tra pochi giorni molte famiglie si troveranno a tavola con i rituali che la
Pasqua si porta appresso: la colomba, l’uovo e naturalmente l’agnello.
Agnello e uova sono, per ebrei e cristiani, i simboli della Pasqua,
festa comune alle due religioni. Gli ebrei festeggiano la liberazione dalla
schiavitù degli egiziani, e l’agnello ricorda il sacrificio offerto a Dio
prima della partenza, mentre i cristiani commemorano la risurrezione di
Cristo e qui, l’agnello, simboleggia il sacrificio di Gesù, “agnello di Dio”.
In un modo o nell’altro l’agnello finisce per rimetterci la pelle, macellato
senza tanti complimenti con il taglio della gola. Ma la sua sofferenza non è
tutta qui. Magari. La sofferenza e le torture partono da molto lontano, dai
paesi dell’Est. L’Italia, che ha un consumo pro capite di circa 6 Kg/anno di
carne ovina, non ce la fa con i suoi agnelli a soddisfare i fabbisogni che
si impennano durante le feste pasquali. Deve quindi ricorrere ai grossi TIR
che partono dalla Polonia e da altre nazioni oggi nell’orbita europea, pieni
zeppi di animali nati da pochi giorni, cui tocca affrontare viaggi
estenuanti senza soste e senza bere né l’acqua né il prezioso e bramato
latte materno.
Senza il rispetto di alcuna regola, una volta varcato il confine italiano,
gli agnelli diventano “nostrani”, perché non esiste, per loro nessuna
tracciabilità. Se anche si volesse scegliere di mangiare un capretto nato e
cresciuto in Italia, per una sorta di rispetto nei confronti dei milioni di
animali stipati sui TIR del terrore, non vi sarebbe alcuna garanzia (a meno
di conoscere un pastore).
Lasciamo perdere agnelli e capretti sacrificali e, se proprio teniamo tanto alle tradizioni, giochiamo tutto sulle uova di gallina (allevate en plain air – all’aperto), uova colorate (che rendono allegra la tavola), uova di cioccolata, colombe farcite o tradizionali, ma diamo un calcio alla tradizione dell’agnello. Cristo risorgerà lo stesso.
Buona Pasqua a tutti.
Strider
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