«Torniamo a raccontare Catania»

Alfio Sciacca, corrispondente da Catania del “Corriere della sera”, anni fa fu licenziato dall’emittente “Telecolor”, dell’editore Mario Ciancio Sanfilippo, insieme ad altri suoi colleghi. Da allora collabora con svariati giornali, tra cui il magazine “S”, che si occupa di inchieste sulla mafia. E’ stato ospite dell’incontro “Cronache di uomini liberi – l‘informazione in Italia”.

Sciacca, perché il giornalismo d’inchiesta appare poco in Italia? E perché le piccole realtà giornalistiche, uniche “oasi” come lei le ha definite nel suo intervento al convegno alla facoltà di Scienze Politiche, non trovano finanziamenti sufficienti?
«Il giornalismo d’inchiesta ormai si è perso – a parte pochi casi – perché i giornalisti nazionali sono sempre più ‘embedded‘, troppo contigui agli ambienti finanziari, politici e militari; e perché i giornali nazionali dispongono sempre meno di soldi da investire sulle risorse umane. Ad esempio, un cronista che viene mandato per quindici giorni a Lampedusa costa troppo, in termini economici e di tempo speso ad avvicinarsi a persone e luoghi. Invece l’oasi a cui il giornalismo nazionale deve attingere, è il giornalismo locale – formato da professionisti e da validi giovani – che, radicato sul territorio, è l’unico testimone autentico dei fatti: pronto a leggerli in modo migliore e funzionale. E non è vero che non si possono trovare finanziamenti per il giornalismo locale. Anzi, bisogna puntare proprio su questo perché è grazie ai giornali locali-indipendenti, fonti valide (da verificare opportunamente), che possono venir fuori grandi scandali».

Perché allora non decollano le tante realtà indipendenti presenti sul nostro territorio?
«Qui a Catania non parte una grande iniziativa locale – e non intendo in termini quantitativi – perché ci si preoccupa troppo che il monopolio di Ciancio sia imbattibile. Non lo è, perché per tanti che leggono “La Sicilia” ce ne sarebbero altrettanti disponibili – anche come sensibilità culturale – a leggere un giornale con un taglio completamente diverso. E la soluzione è in mano ai giovani, efficacemente aiutati, che un po’ si stanno muovendo ma non è ancora abbastanza. Molti partono per le scuole di giornalismo, altri rimangono nella propria città a cercare notizie e a scriverle consumandosi le suole delle scarpe. Entrambe le strade di formazione portano ad un’unica svolta, non lo dico solo io: sembrerà paradossale, ma un giovane, dopo aver fatto le dovute esperienze, ha più chance di trovare un’occupazione stabile nel proprio territorio che nelle grandi realtà dove il mercato è saturo».

Se queste realtà non fanno il grande salto verso il mercato, dunque, non è a causa dell’ostruzionismo proveniente dall’alto? E a livello più generale, i cambiamenti anche legislativi in materia di libera informazione non sono degli ostacoli per i giornalisti?
«Non c’è tutto questo ostruzionismo e comunque bisogna rischiare lo stesso. Usufruiamo, per esempio, della normativa sulle cooperative. Se parliamo di interventi legislativi, come quello sulle intercettazioni, riguardo alla cronaca giudiziaria, certo è un problema ma non è l’unico di cui ci dobbiamo preoccupare. Soffermiamo l’attenzione anche sull’informazione dei piccoli fatti quotidiani. Chi è che racconta la città e cosa accade nei Consigli comunali? Nessuno ne parla. Allora sulla logica de “I Cordai”, di “Step1”… torniamo a raccontare i quartieri e i Consigli. La spinta deve partire da strutture indipendenti già radicate o in procinto di radicarsi sul territorio. A Potenza, Trani e Bari, ci sono realtà locali formate da 5 giornalisti che fanno quotidianamente un ottimo lavoro. Prendiamo esempio anche da loro».

Bisogna essere ottimisti, quindi? Magari evitando di ripensare alle parole di Sciascia sulla giustizia che non potrà mai esistere fin quando le istituzioni legittimeranno azioni criminali e la scrittura letteraria e giornalistica non smetterà di vestire di decenza i loro soprusi?
«Anche io ho elementi per essere pessimista ma vivo in questa città, faccio il giornalista e non mi arrendo. I giovani non devono abbattersi ma lottare e diventare imprenditori di se stessi. Questa è l’unica strada».


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